Elì, Elì, lemà sabachthanì

Gentile direzione, Vittorio Zucconi, su www. repubblica.it di ieri 31 maggio, riferendosi al discorso del Papa ad Auschwitz, dà questa risposta a un lettore: «A me, che non posso fare commenti su quello che un Papa dice quando parla di Dio (se parla di leggi del mio stato, è un altro paio di brache), è parsa la stessa domanda che Cristo si fece sulla Croce e che ognuno di noi si pone davanti a una tragedia insopportabile: perché?». Se il bravo giornalista si riferisce a se stesso, ha proprio ragione. Infatti, ha fatto un po’ di confusione. Le parole pronunciate da Gesù sulla croce: “Elì, Elì, lemà sabachthanì!”, non c’entrano nulla col discorso di Bendetto XVI e col «perché?» dei credenti davanti a immani tragedie. Quelle parole non sono un grido di sconfitta e di disperazione, né una richiesta di spiegazioni, ma costituiscono l’inizio del salmo 22 che è la preghiera del giusto sofferente, un canto di fiducia in Dio. Gesù intende far suo lo spirito del salmista. Se invece Zucconi si riferisce a tutti coloro che non appartengono al clero, sbaglia. Perché, infatti, non dovremmo avere la possibilità di leggere le Scritture alla luce della ragione e del buon senso, o più semplicemente di discernere tra ciò che viene da Dio e ciò che viene dall’uomo? Oppure dobbiamo lasciare che la chiesa continui imperterrita a commettere errori com’è avvenuto, per sua stessa ammissione, nel passato?
La lettera di Veronica Tussi è apparsa sul Manifesto

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