Somalia, corti islamiche pronte al dialogo

Disponibilità al dialogo con il governo di transizione, nessun accenno alla ‘Sharìa´ o all’applicazione di leggi islamiche, volontà di ristabilire la pace a Mogadiscio e le condizioni per l’elezione dei rappresentanti da parte del popolo: sono alcuni dei passaggi salienti di un lungo documento in inglese che l’Unione delle Corti islamiche (che da lunedì hanno il controllo su gran parte di Mogadiscio) ha recapitato in tarda mattinata alle ambasciate straniere a Nairobi, in Kenya. La notizia è stata diffusa dall’agenzia missionaria Misna (www.misna.org). Nel testo si conferma dunque l’impegno a riportare la calma nella capitale dopo quattro mesi di scontri con l’alleanza anti-terrorismo composta da alcuni signori della guerra ormai esautorati da Mogadiscio. Circa 350 persone, per la maggior parte civili, sono stati uccisi da febbraio ad oggi negli scontri per le strade della città tra i miliziani delle corti e la cosiddetta “coalizione anti-terrorismo”. Con la sconfitta di questi ultimi la capitale somala sembra tornata alla calma ma la situazione resta tesa. «È errata l’equazione che rappresenta le Corti islamiche come un governo ‘talebano´ pronto a introdurre la sharìa, la legge del Corano» ha spiegato Mario Raffaelli, rappresentante speciale dell’Italia in Somalia che, in un´intervista a Repubblica ha sottolineato come in realtà le Corti islamiche siano «un gruppo eterogeneo» che si è formato in risposta alla nascita dell’Alleanza contro il terrorismo (patto fra i warlords sostenuti dagli Usa che si sono messi insieme dichiarando di voler combattere il fondamentalismo): «Contro i warlords odiati da gran parte della popolazione si sono schierati anche businessmen e la società civile di Mogadiscio: non si può certo dire che nella capitale si sia instaurato un governo stile Taliban. Governo e Parlamento -spiega ancora- si sono già riuniti per cacciare dall’esecutivo i signori della guerra e lanciare un’offerta di dialogo alle Corti islamiche. Si spera che venga accettata». […] La Somalia da anni, dopo l’uscita di scena del presidente Siad Barre nel 1991, è scossa da una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti “signori della guerra”. Nel ‘92 sono intervenuti gli Usa e contingenti di pace internazionali, che non sono riusciti a riportare l’ordine nel Paese. La missione “Restore hope” fu un insuccesso. Nel 1995 le truppe dell´Onu se ne sono andate e le violenze nel paese sono dilagate: si parla di quasi mezzo milione di morti comprese anche le vittime per la carestia generata dalla guerra. Nel 2000, con la conferenza di Gibuti, è iniziato un processo di pace che ha portato all´elezione di un Parlamento Federale guidato da Sharif Adan, Presidente ad interim della Repubblica Federale Abdullahi Yusuf. Yusuf ha stabilito come sede del governo la città di Giohar, 90 chilometri a nord di Mogadiscio, sostenendo che la capitale non era sicura.
Fonte: Unità.it

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