Lettera al Corriere sul celibato dei preti

La Chiesa potrebbe facilmente eliminare o perlomeno limitare moltissimo il triste fenomeno della pedofilia diffuso tra i preti. Un fiume, se non ha la possibilità di scorrere tranquillamente nel proprio letto, straripa, e cerca altre vie. Così accade per il sacerdote «costretto» a non sposarsi. Il versetto del Vangelo che parla del celibato è il seguente: «Vi sono infatti eunuchi che nacquero così dal seno della madre, e vi sono eunuchi che furono resi tali dagli uomini, e vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il regno dei cieli. Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19,12). La Chiesa latina (cattolici) «ha compreso» che per i presbiteri (sacerdoti), la rinuncia al matrimonio non debba essere una scelta, ma un obbligo. Le Chiese orientali (ortodossi) «hanno compreso» invece che uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti, ma non vescovi. Nel giudaismo, in base al precetto divino espresso in Genesi 1,28 («crescete e moltiplicatevi»), era sentito come un dovere religioso che l’uomo prendesse moglie. […]
Veronica Tussi
[…]Se il celibato non è un obbligo evangelico, apertamente proclamato da Cristo, e se altre Chiese cattoliche (quelle orientali) permettono il matrimonio dei sacerdoti, perché Roma non dovrebbe rivedere le proprie posizioni, soprattutto in un momento in cui deve far fronte a casi frequenti di omosessualità e pedofilia? Credo che la risposta a questa domanda vada ricercata nell’importanza che la Chiesa attribuisce alla sua struttura gerarchica e ai vincoli di disciplina che sono il necessario cemento della sua unità. Anche quando ha consacrato se stesso al servizio divino, un uomo sposato è sempre necessariamente distratto da altre realtà: la moglie, i figli, i loro studi, le loro carriere, le loro amicizie. La Chiesa è una istituzione totalitaria e non ama dividere con altri la fedeltà di coloro che hanno liberamente scelto di servirla. Il quotidiano spettacolo di ciò che accade nelle confessioni religiose in cui il matrimonio è consentito non può che confermarla in questa convinzione. Là dove il pastore si sposa, il vincolo della disciplina si allenta e nessuna autorità può impedire che l’unità ecclesiastica si rompa in una miriade di gruppi e gruppuscoli, divisi da interpretazioni teologiche, lingue nazionali o, più semplicemente, dall’influenza carismatica di un leader. […]
Sergio Romano
La lettera e la risposta sono state pubblicate sul sito del Corriere della Sera

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