L’Udc ha presentato al Ministro della Salute un’interpellanza parlamentare che sarà discussa domani. L’oggetto è la pillola abortiva, la RU486, che non smette di suscitare polemiche e di attirarsi accuse confuse e infondate. L’interpellanza è infarcita di errori goffi e di questioni insensate.
Il primo passo più lungo della gamba riguarda una verosimile confusione, nell’ipotesi più conciliante, tra la RU486 e la cosiddetta pillola del giorno dopo, dal momento che si paventa il rischio che l’aborto farmacologico possa diventare un metodo di controllo delle nascite. Il ricorso alla RU486 non può essere considerato un mezzo per controllare le nascite più di quanto (erroneamente) si possa considerare l’interruzione di gravidanza chirurgica. L’interruzione di gravidanza, chirurgica o farmacologica, non è un mezzo per controllare le nascite. Disonestà o ignoranza a parte.
Il secondo e più importante malinteso riguarda le morti imputabili alla RU486. L’interpellanza ‘dimentica’ di citare il particolare che non c’è accordo medico sul nesso causale tra la somministrazione del mifepristone e il decesso di alcune donne; ‘dimentica’ di dire che le morti sospette negli Stati Uniti sono state 5 su 460.000 interventi effettuati (l’Udc inferisca la percentuale di rischio) e di sottolineare la stranezza geografica (4 morti sono avvenute in California); ‘dimentica’ che in Francia gli interventi sono stati 1,2 milioni e 1 donna è morta a causa di un farmaco complementare al mifepristone abbandonato subito dopo il decesso.
E veniamo al terzo punto: la richiesta di sperimentare prima dell’eventuale commercializzazione in Italia. Cosa c’è da sperimentare di un farmaco che è utilizzato da almeno 20 anni in tutto il mondo?
L’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato oggi sul Giornale di Sardegna.