Se l’Ulivo perde la bussola della laicità

[…] Vi scrivo tuttavia per manifestarvi la mia preoccupazione per i toni che sta assumendo il confronto anche all’interno dell’Ulivo su alcuni temi eticamente sensibili. È evidente che la legittimità delle diverse opinioni espresse rischia di essere sopraffatta dalla radicalità delle argomentazioni usate. Esse possono minare quella coesione politica dell’Ulivo che ritengo vada preservata come un bene comune, non solo nostro, ma di tutta l’Unione. Penso che il confronto costruttivo, il dialogo aperto, la ricerca paziente e lo scambio continuo debbano costituire prassi costante del nostro agire su ogni tema politico e ideale. Anche il più difficile. Vedo molto presente in questo dibattito i segni di un arretramento politico e culturale. La mia preoccupazione va però oltre. Ritengo molto pericoloso per una comunità politica mettere in discussione un valore fondante della nostra democrazia come quello della laicità. A Oriente, e purtroppo in alcuni casi anche a Occidente, esso si presenta come un punto critico delle nostre democrazie che vivono una fase in cui le Chiese tendono ad assumere una ingerenza, a volte pressante, nella sfera delle istituzioni pubbliche. Mi preme sottolineare che chi rappresenta il popolo sedendo in uno dei due rami del parlamento debba decidere e agire sempre in nome dell’interesse generale del Paese […] Uno spirito incentrato sull’affermazione del principio di convivenza tra le diverse confessioni religiose pur nel riconoscimento implicito all’articolo 7 della Costituzione che riconosce il ruolo peculiare che quella cattolica ha nel nostro paese. Ma non possiamo dimenticare mai che nella medesima Costituzione c’è pieno riconoscimento delle altre confessioni e ovviamente anche del pensiero e della coscienza di chi non abbraccia alcuna confessione. In sostanza non mi pare che si possa ritenere esista, o possa esistere, nel nostro paese una sorta di morale unica «nazionale». […] Non è qui in discussione il diritto della Chiesa ad esercitare la sua missione e ancor meno, ovviamente, il suo diritto alla parola, come a volte si sente inopinatamente dire. […] Il punto, almeno per me, è un altro. Io vedo – e non da oggi – messa in discussione quel valore fondante di ogni democrazia che è il principio di laicità. Laicità non solo come fonte irrinunciabile di libertà, e di libertà di coscienza, ma anche come non accettazione di alcuna verità rivelata quando è intesa come fondamento di uno stato, laicità come uso aperto della ragione critica, come distinzione tra politica e religione, come separazione del diritto dalla morale, come garanzia a tutti della piena libertà di culto. In altre parole, penso alla laicità come neutralità dello stato rispetto ad ogni credenza, e come indipendenza delle istituzioni. Ciò è tanto più importante in un paese come l’Italia che si avvia a vivere anni di profonde trasformazioni nelle quali la custodia gelosa della identità storico culturale non può essere confusa con una chiusura o peggio un rifiuto di quella convivenza multietnica e multireligiosa che ci piaccia o no, segnerà, e molto, i decenni futuri. […] La procreazione, la famiglia, la scuola rischiano dunque di trasformarsi in un campo di battaglia ideologica o peggio di una guerra tra religioni o visioni di vita. […] Senza affermare e praticare il principio di laicità, ritengo pertanto che sarà molto difficile legiferare su temi eticamente sensibili come la ricerca sugli embrioni, o sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, o altri ancora. Questa occasione sarà resa vana e sprecata se essa sarà intesa come imposizione di un proprio esclusivo punto di vista. Se ciò avvenisse non solo si ritarderebbe e si renderebbe più arduo il cammino dell’Ulivo, ma cosa ben più rilevante, si colpirebbe uno dei principi cardine del nostro ordinamento. […]
La versione integrale della lettera di Gavino Angius, vicepresidente del Senato, è raggiungibile sul sito del Manifesto

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