«Noi difendiamo diritti in cui l’Occidente dice di credere. Eppure l’Occidente non difende noi saharawi. La nostra sola colpa è di chiedere pacificamente la libertà, ma questo in Marocco è un reato». Aminattou Haidar ha una forza gentile, mai intaccata dalle violenze subite. In questi giorni in Italia, dopo essere stata ricevuta dal Parlamento europeo, si porta cucita addosso la sua storia, identica – dice – a quella di tante altre persone senza volto: saharawi come lei, perseguitati dalle autorità marocchine per non avere ancora rinunciato al diritto all’autodeterminazione né al referendum deciso dieci anni fa e mai tenuto, a dispetto delle risoluzioni dell’Onu. Arrestata due volte, Aminattou è riuscita a far arrivare via internet e grazie ad un telefono cellulare fatto entrare clandestinamente nel carcere, immagini che testimoniano le terribili condizioni dei detenuti saharawi: i 2700 chilometri di muro fatto costruire dal re del Marocco per isolare il Sahara occidentale, non sono riusciti a fermare la sua denuncia. «So già che al mio ritorno mi arresteranno, verranno a prendermi all’aeroporto». -Per quale motivo è finita in carcere? R: «La prima volta avevo solo 20 anni. Stavamo organizzando una manifestazione in occasione della visita di una delegazione Onu. Il giorno prima del loro arrivo, sono stata prelevata di notte in casa e per tre anni e sette mesi sono stata detenuta senza che la mia famiglia sapesse nulla di me. Credevano che fossi morta. Non ho mai avuto un processo. Per tre settimane consecutive mi hanno torturata: sapevano essere terribili, soprattutto con le donne». -Può raccontare che cosa le hanno fatto? R: «Ci sono molte cose che vorrei dimenticare. Mi legavano mani e piedi su un tavolaccio e mi torturavano con scosse elettriche, spalmavano sul corpo sostanze irritanti, anche negli occhi, nella bocca… Ci impedivano di dormire, magari ci tenevano per ore in piedi su una gamba sola. Minacciavano di violentarmi, ma non l’hanno fatto. So però di donne che sono state stuprate in modo orribile, con il collo delle bottiglie o con dei bastoni. E molte erano vergini, le hanno derubate del loro orgoglio». […] -Che cosa può fare la comunità internazionale? R: «Far rispettare le risoluzioni delle Nazioni Unite, fare pressione sul Marocco perché rispetti i diritti umani. E andare a visitare i territori occupati per rendersi conto di quello che succede».
L’intervista completa è raggiungibile sul sito dell’Unità