Se non ci fosse la Chiesa che continua a perseguitare gli omosessuali, con pesanti conseguenze anche sul piano delle leggi e dei diritti (Pacs e simili), credo che in Italia e fuori il Gay Pride finirebbe per non essere più «necessario», o almeno non più così socialmente provocante e problematico. Diventerebbe come la festa di un gruppo di cittadini che hanno piacere di ritrovarsi tra loro una volta ogni tanto – come un raduno di motociclisti (ma molto meno rumoroso) o di giocatori di scacchi (un po’ meno serioso). Non ci si domanderebbe nemmeno perché il sindaco non manda il gonfalone della città, o perché non partecipa con la sua fascia tricolore, né perché aziende e commerci che sono abituati a sponsorizzare quasi tutto rifiutino di appoggiarlo. […] Al primo maggio il sindaco va e ci va il gonfalone della città; ma ci va anche Letizia Moratti, che proprio una lavoratrice del braccio non è. Perché ormai quella festa non è più un raduno «di lotta», anche Bertinotti ci va solo come «istituzione», e si guarda bene dal prendervi la parola: le istituzioni, come i musei, sono al di sopra delle parti. Dunque, con tutti i rischi di «chiassate», come le chiamano i benpensanti, con tutto il folklore che spesso urta anche il gusto di alcuni gay dichiarati ma ormai non più adatti a indossare boa di struzzo o trofei di piume, il Gay Pride è una manifestazione sacrosantamente attuale. Che, come dicono giustamente gli organizzatori, serve anche a chi gay non è e non desidera diventarlo. Serve alle coppie di fatto eterosessuali che vogliono veder riconosciuti vari diritti che, in quanto non sposate, vengono loro negati. Serve ai genitori di gay per riconoscere che questa diversità non deve separarli dall’affetto per i loro figli. Serve ai transessuali che rivendicano l’assistenza della mutua per il cambiamento di sesso. Serve a far respirare un poco, e magari a far riflettere, i tanti gay «velati» che molto spesso conducono una vita solo esteriormente rispettabile, ma in fondo stanno piuttosto male, e rischiano sempre di trovare il prostituto che li ammazza di botte con la tacita approvazione dei «normali». Quanti non sarebbero un po’ meno infelici se la bisessualità – c’è anche questo al mondo, signora mia – fosse meno duramente stigmatizzata, e magari come accadeva nella Grecia di Platone e di Aristotele, uno potesse vivere apertamente e senza angoscia la propria vita di famiglia (etero) e i propri rapporti di amore omo. Il Gay Pride serve, almeno, a rendersi conto una volta di più che «la vita è bella perché è varia». Per questo noi che ci andremo siamo consapevoli di rendere un servizio a tutti, anche ai più omofobi tra i nostri concittadini. Vi pare poco?
L’articolo di Gianni Vattimo è stato pubblicato sul sito della Stampa