Carcere, un inferno per i transessuali

Non si sa bene quante siano perché la burocrazia carceraria, specchio crudele della cultura dominante, non comprende la loro identità. Una cosa però si sa: le persone transessuali detenute nelle nostre galere sono l’ultima ruota del carro nella gerarchia degli ultimi privati della libertà e marchiati dallo stigma sociale del delinquente. Nei giorni in cui si celebra l’orgoglio glbt (dove la t finale sta appunto per transessuale e transgender) può quindi risultare istruttivo riflettere su una situazione che evoca vergogna per il nostro sistema di convivenza civile. Come si vive da transessuali in carcere? Qualche spunto lo fornisce una lettera di A., 33 anni, transessuale brasiliana condannata per omicidio, diffusa su internet da radiocarcere.it. «Per un transessuale il carcere appare subito come l’inferno. La diversità che ti porti appresso è amplificata. Difficile anche trovarti un posto. Non nella sezione maschile. Non nella sezione femminile. Ma nella sezione peggiore: quella degli infami, dei pedofili, ovvero quella, appunto, dei trans. Per parecchio tempo ho diviso la mia cella con altre transessuali. Persone che erano in carcere da diversi anni e che erano segnate nel corpo e nella mente dalla disperazione. In quella cella c’era chi si tagliava le braccia, chi si drogava o chi negli occhi non aveva più la voglia di vivere. (…) Oggi mi è chiaro. La pena in carcere per un transessuale è la sua diversità. Una diversità a cui il carcere non è preparato. […] C’è un margine di scelta nella prostituzione. Ma quando sei in carcere tu quel margine non ce l’hai. In carcere o fai sesso oppure la tua vita diventerà impossibile. In carcere sono dovuta scendere ancora più in basso di quando facevo la puttana. Questo è il mio recente passato, questo è il presente di tante altre transessuali in carcere». […] Abbiamo però citato solo alcuni dei passi più drammatici della lettera per dare un’idea della situazione generale e di partenza che molte persone transessuali si ritrovano di fronte entrando in prigione. […] «Gli altri detenuti – spiega Vladimir Luxuria, deputata del Prc – mantengono spesso un contatto con le loro famiglie. Le transessuali quasi mai. Essendo per lo più straniere, hanno molte meno possibilità di contare sulla vicinanza di parenti, mentre i rapporti con persone non consanguinee sono del tutto esclusi perché sono nulli di fronte alla legge e ai regolamenti del carcere». Un fatto che dovrebbe fare riflettere tutti quei cattolici che, in ossequio al Vaticano, si oppongono al riconoscimento giuridico delle relazioni affettive non previste dal modello della famiglia tradizionale.
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