Le autorità cinesi hanno arrestato cinque tibetani, fra cui due monache buddiste, “per aver pubblicato, tenuto in casa e distribuito dei volantini che chiedono l’indipendenza della provincia”. Alcune fonti, anonime per motivi di sicurezza, hanno identificato i cinque: si tratta di Kayi Doega, già arrestato nel 2002 con l’accusa di “aver pregato per il Dalai Lama”, la sua figlia più grande, Yiga, monaca buddista; Sonam Lhamo, un’altra monaca che vive nel famoso monastero di Geci ed altre due donne, Sonam Choetso e Jampa Yangtso. cinque sono tutti nativi della prefettura di Karze, area tibetana tradizionalmente amministrata dalla provincia cinese del Sichuan: sono stati arrestati ai primi di giugno non lontani dalle loro case. Subito dopo l’arresto, sembra che abbiano gridato “Libertà per il Tibet, lunga vita al Dalai Lama”. Gli ufficiali di polizia della zona, contattati via telefono, hanno prima ammesso di “essere a conoscenza degli arresti” salvo poi ritrattare tutto. La Cina definisce la sua occupazione del Tibet, in corso dal 1950, come una “liberazione che ha salvato i tibetani della regione dall’oppressione feudale”. Pechino ha creato in maniera formale una Regione autonoma tibetana nel 1965, ma il Dalai Lama, supremo leader spirituale e politico della zona, sostiene che questa non ha reale autonomia dal governo centrale. Il governo in esilio del Tibet ha sede a Dharamsala, in India, ed è stato formato dal Dalai Lama nel 1959, nove anni dopo l’invasione della regione da parte delle truppe comuniste. Anche se Pechino lo considera un traditore, moltissimi tibetani rimangono fedeli alla sua figura, considerata un misto fra un re ed un dio.
Fonte: AsiaNews.it