I boss: «Wojtyla offese i siciliani, ma era anticomunista»

Aveva tuonato col dito alzato verso il cielo, papa Giovanni Paolo II, parlando ad Agrigento, nel maggio del 1993, ancora nel pieno della stagione delle stragi mafiose. E quasi gridava, quando ricordò il comandamento «non uccidere» e avvisò gli assassini di Cosa Nostra: «Verrà il giudizio di Dio». Dodici anni dopo, gli uomini d’onore ancora ricordavano quelle parole. E le commentarono, a due giorni dalla morte di quel Papa, il pomeriggio del 4 marzo 2005. Antonino Cinà, ’u dutturi , medico già condannato per associazione mafiosa, ora arrestato con l’accusa di essere un «dirigente» delle cosche palermitane, parlava con Saro Parisi, finito anch’egli in carcere nell’operazione antimafia dell’altra notte. Nel casotto in lamiera dove abitualmente si riunivano con Antonino Rotolo, ergastolano agli arresti domiciliari che da quella baracca continuava a tirare le fila dell’organizzazione, i due aspettavano l’arrivo del boss. Chiacchierando sui fatti del giorno: l’arresto di un latitante in Costa D’Avorio e la scomparsa di Giovanni Paolo II, dopo una lunga agonia. «…E questo discorso del Papa», introduce Parisi. Cinà prosegue: «Sì, ho sentito poverino perché era… A parte quella sbrasata che ha fatto quando è venuto qua…Una sbrasata un pochettino pesante verso i siciliani in generale, però…». Forse intendeva dire uno sproloquio, Cinà, una sceneggiata; in ogni caso un discorso esagerato. «Verso i siciliani in generale», anche se Giovanni Paolo II, nel suo discorso pubblico, aveva definito la «mentalità e l’organizzazione mafiosa» espressione di «una minoranza che disonora questa terra e ne mortifica le potenzialità». Ma per il medico che ebbe tra i suoi clienti Totò Riina, le parole del Papa avevano offeso i siciliani. Subito dopo, lo stesso Cinà ha parole di elogio per il pontefice morto da meno di 48 ore. Che in bocca ad un uomo tornato in carcere con l’accusa di essere uno dei capi del mandamento mafioso palermitano di San Lorenzo suonano paradossali. ’U dutturi riprende il suo discorso e dice: «…però è stato un cristiano buono. Diciamo che è stato un artefice per combattere il comunismo». E Parisi concorda: «Sì!». Il commento del capomafia – che nei suoi discorsi con Rotolo e gli altri uomini d’onore spaziava dalla pianificazione di omicidi ai rapporti da tenere con Bernardo Provenzano all’epoca latitante, dalle diatribe tra mafiosi alle relazioni col mondo della politica – si allarga al modo in cui è stata accolta nel mondo la morte del Papa. […]
Il testo integrale dell’articolo di Giovanni Bianconi è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera

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