Famiglie al mercato delle convivenze

La discussione sul matrimonio e le convivenze si riaccende ogniqualvolta si registrano novità significative, come quelle del Belgio e della Danimarca che hanno riconosciuto la possibilità della filiazione (per adozione o procreazione assistita) per coppie non eterosessuali, o dell’Italia dove qualcuno annuncia provvedimenti per le coppie di fatto. Ciò che stupisce, però, quando si affrontano questi argomenti, è che non si entra quasi mai nel merito. Si fanno accenni politici, si invocano principi generalissimi, ma non si discute sui contenuti delle scelte e sulle loro conseguenze. Così facendo, tra l’altro, si induce a credere che la situazione delle coppie eterosessuali sia assimilabile a quella delle coppie non eterosessuali. Mentre c’è una differenza profonda tra le due situazioni. Dovrebbe far riflettere ad esempio che le prime chiedono quasi che venga riconosciuto il diritto a non sposarsi, mentre le altre tendono a reclamare il diritto contrario. Francesco D’Agostino, in diversi interventi, ha ricordato che la maggior parte delle esigenze delle coppie di fatto (eterosessuali) possono essere soddisfatte già oggi con il diritto comune. L’esigenza alla successione, con la predisposizione di un normale testamento; la garanzia sull’abitazione, attraverso la cointestazione del contratto o del titolo di proprietà, e io aggiungo che già esiste una sentenza della Corte costituzionale (la n. 404 del 7 aprile 1988) che contempla questo diritto. L’assistenza in caso di malattia è garantita dalla libera volontà, che esiste per tutti i cittadini, di essere assistito da chi si vuole. È poi possibile rafforzare la volontà contrattuale, senza per ciò coinvolgere l’istituto matrimoniale. Perché, allora, l’insistenza su uno strumento forte, o pubblicistico, come si usa dire? Il primo motivo è che evidentemente si avverte che il matrimonio dà qualcosa di più, sul piano sociale, rispetto ad una unione libera. Il secondo è che si cerca di ottenerlo utilizzando lo schem a del matrimonio, ma soltanto in quella parte che torna utile. […] Così, sposati o meno, tutti hanno la stessa condizione. Cosa accadrebbe? Ci sarebbero fiere sollevazioni e proteste (peraltro legittime) perché lo Stato coarterebbe la volontà di quei cittadini che non intendono sposarsi, e non vogliono avere i diritti e i doveri dei coniugi. Ed è proprio questo il punto: si vogliono avere soltanto i diritti che scaturiscono dal vincolo coniugale ma si escludono i correlativi doveri. Se si agisse così in altri ambiti sociali, chiunque direbbe che è assurdo e troppo comodo. […] Proprio i Pacs francesi, e altre analoghe esperienze europee, chiariscono questo punto centrale. Ci sono diritti patrimoniali, ma non c’è il dovere della assistenza reciproca in tutta la sua latitudine. Ci può essere il diritto alla successione ma non c’è il dovere di fedeltà […] Ed è accaduto che una delle due parti, legate dal Pacs, si sia sposata (con un terzo) senza che l’altra lo sapesse. Questo è un aspetto della realtà di cui non si vuole parlare, forse perché sgradevole. Come non si parla di un altro effetto di eventuali Pacs, o assimilati. E cioè che alle nuove generazioni la legge offrirebbe la possibilità di due tipi di matrimonio, il primo quello che tutti conosciamo, l’altro che si qualificherebbe come un matrimonio dimezzato, che prevede alcuni diritti senza doveri, cioè una sorta di piccolo matrimonio più comodo e meno impegnativo. Si proietti nel tempo questa situazione. Chi può dire in coscienza che così facendo non si dia una indicazione deresponsabilizzante ai giovani, e non si svilisca il matrimonio vero e proprio perché più oneroso e impegnativo? Profondamente diversa l’ipotesi del matrimonio (o di analoghe configurazioni) delle coppie omosessuali, e dell’eventuale affidamento di figli. Anche in questo caso, esigenze di vita quotidiana e interpersonale possono essere risolte praticamente tutte a livello contrattuale. Nessuno, però, dice che facendo ricorso all’istituto del matrimonio, o ad un suo surrogato, si compie una delle più grandi opere di mimetizzazione (che vuol dire finzione) che la storia del diritto ricordi. […] Quando ci si accosti al mimetismo estremo, quello della filiazione (per adozione, o procreazione assistita), le conseguenze sono deflagranti. La doppia figura genitoriale scompare perché non esiste. Il minore non potrà mai pronunciare le parole papà e mamma come accade ai bambini di tutto il mondo […] L’infanzia diviene oggetto di sperimentazione, soltanto per soddisfare un desiderio di filiazione che non può essere soddisfatto naturalmente. Non sono più i genitori che esistono per i figli, ma sono i minori che devono esistere per i genitori. […] Non ha più senso neanche l’affermazione che si tratta di scelte personalissime nelle quali lo Stato non deve entrare. Perché sono scelte personali che ricadono sui figli acquisiti e condizionano la loro esistenza sin dall’inizio. Ai minori si impone la qualifica di figlio senza dargli una famiglia naturale, e viene imposta una famiglia artificiale mai esistita al mondo. […] Mi sono soffermato su alcune conseguenze specifiche di riforme che si stanno introducendo in alcuni Paesi europei. Ma credo sia evidente la destrutturazione complessiva che si avrebbe, con il tempo, dell’istituto familiare nell’ambito della cultura e della coscienza della collettività, e il deterioramento di un tessuto civile che in ogni tempo è stato considerato essenziale per la società. Qualcuno potrebbe osservare che alcune cose di quelle trattate (come l’adozione per coppie omosessuali) in Italia non sono attuali. Fortunatamente è così. Però stupisce il fatto che, parlando di questi argomenti, la figura più esaltata sia sempre Zapatero, e quando si è saputo del riconoscimento della filiazione per coppie omosessuali in Belgio e Danimarca, nessuna voce (di una parte) si sia levata per censurare queste scelte. Al contrario, la si è riportata con grande evidenza, quasi a sottolineare la modernità di questi Paesi rispetto all’Italia. Una coltre di ipocrisia si nasconde dietro queste reticenze. Ed è bene parlare di questi problemi a tutto campo, perché si rifletta sulla strada che si vuole intraprendere e sulle conseguenze che possono derivarne, oggi o in futuro.
Fonte: Avvenire.it

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