Il rabbino Yaakov Guterman si considera un pioniere e un benefattore al tempo stesso. Il sindaco della colonia israeliana di Modi’in Illit ha trovato il modo di far convivere le tradizioni degli ebrei ultraortodossi con le leggi di mercato dell’industria hi-tech. Il suo esperimento funziona così bene che nell’insediamento è nato un ricco e fiorente polo della produzione immateriale in outsourcing, traino per lo sviluppo impetuoso di questa cittadina di 32.000 abitanti che spera d’essere riconosciuta presto come municipalità. Centinaia di ragazze tra i venti e i trent’anni, protagoniste assolute di quella che, come recita un cartello al suo ingresso, è «la città haredi del futuro», per otto ore al giorno e un salario medio di circa 3500 shekel (635 euro) al mese digitalizzano documenti o producono software per alcune tra le principali multinazionali del settore. La fatica di queste giovani (la maggior parte delle quali di fazione lituana o chassidica) permette agli uomini di condurre una vita interamente dedicata allo studio della Torah e a una comunità che si professa orgogliosamente anti-moderna di far fronte alla sua cronica crisi economica. Hanno nomi da ventunesimo secolo le aziende che hanno scoperto un eldorado a due passi dalla palestinese Ramallah: Matrix, Tech-Tav, Image Store, TopTrans, Citybook Services e Tikshuv. La manodopera specializzata è costituita invece da donne che vivono nella stessa dimensione dei loro antenati askenaziti fuggiti dalle persecuzioni di fine ottocento in Europa orientale: nei loro appartamenti sovraffollati non esistono televisori né computer, andare al cinema è vietato. Alla radio ascoltano solo programmi religiosi o notiziari, non guidano l’automobile. Devono evitare in ogni modo di distrarre i maschi, per questo indossano solo gonne lunghe, maglie a collo alto e camicie con maniche che tengono sempre coperto il gomito. […] Delle 6.500 famiglie di Modi’in Illit, 1.500 vanno avanti grazie al sostegno del ministero del welfare e il 70% degli uomini non lavora. Qui vivono solo ultraortodossi, quasi metà haredim della West Bank (70.000 persone, su una comunità israeliana di circa 200.000). Tuttavia, anche se i finanziamenti statali alla comunità haredi sono in costante diminuzione, Modi’in Illit cresce a un ritmo del 13% annuo: il 24% delle famiglie ha più di quattro bambini, il 18% più di sei, 40 nuovi nati ogni settimana le assicurano il primo posto in Israele per incremento naturale. […] Quella degli ebrei era una delle corporazioni medioevali; con l’inizio dell’età moderna e l’urbanizzazione hanno temuto che questo processo potesse erodere il loro stile di vita ebraico. Di lì la necessità di alzare come un muro che proteggesse la loro purezza». L’ideologo dei moderni ultraortodossi è Hazon Ish (l’uomo visionario), un lituano morto nel 1953 che durante la guerra del 1948 fu l’artefice di un incredibile revival dell’ultraortodossia. Dopo decenni in cui il potere dei circa 250.000 trepidanti (traduzione di haredim, dal verso del profeta Isaia: «Ascoltate la parola del Signore, voi che trepidate alla sua parola»), attraverso i loro rappresentanti alla Knesset, il parlamento, è aumentato costantemente in Israele, l’ultimo governo Sharon ne ha ridotto il peso escludendo i loro partiti dall’esecutivo e tagliando gli stanziamenti. […] Mikal ha 26 anni e tre bimbi, è arrivata cinque anni fa da Rehovot: «Qui ci permettono di lavorare in maniera religiosa – dice. Non ci sentiremmo sicure in una società hi-tech con un ambiente laico». Tova, 21 anni, si è trasferita da Gerusalemme attratta dalle possibilità di lavoro di Modi’in Illit: «Questo posto ci da’ la possibilità di discutere tra noi soltanto di questioni religiose e dell’educazione dei figli, per questo ci sentiamo a nostro agio» dice prima di ammettere che «otto ore sono troppe e quando avrò dei figli cercherò un’altra opportunità». […] Ma per quanto tempo il sogno del rabbino Guterman di avere una comunità haredi sempre più grande e più pura riuscirà a stare al passo con la frenesia hi-tech di Modi’in Illit? Quante ragazze, dopo il contatto con l’altro mondo, quello dell’azienda e quello di Internet, faranno la scelta di Malka, che nella scena finale di «Kadosh» fugge da Mea Sharim, lontano dai trepidanti?
L’interessante articolo sull colonia israeliana ortodossa è stato pubblicato sul sito del Manifesto