Qualche giorno fa la Fondazione Veronesi ha redatto una versione di Testamento Biologico che prevede la possibilità per tutte le persone maggiorenni, in grado di intendere e di volere, di esprimere la propria volontà riguardo ai trattamenti medici per un eventuale futuro in cui non fosse loro più possibile, in seguito a una malattia invalidante e irreversibile. Offre, in altre parole, la possibilità di far “slittare” un diritto riconosciuto e attribuito a tutte le persone coscienti, quello di rifiutare le cure, ad una fase della propria esistenza in cui la possibilità di decidere è spazzata via. Direttive anticipate, appunto. […] Non mancano le critiche. Secondo Adriano Pessina (Italia. Pessina: testamento biologico lesivo della dignità della persona umana malata, Vivere & Morire, 24 giugno 2006), direttore del centro di bioetica dell’Università Cattolica e rappresentante fedele della posizione cattolica, il Testamento Biologico in questione (ma non sembra una forzatura ampliare il suo giudizio a tutte le possibili proposte di direttive anticipate) sarebbe “gravemente lesivo della dignità della persona umana malata”. Pessina sembra dimenticare che sono quelle stesse persone malate a chiedere di non ricevere, in alcune circostanze, trattamenti medici. Nessun altro (medici, Stato, familiari) potrebbe decidere al loro posto, o tantomeno potrebbe imporre loro di “non curarsi”. In che modo è possibile rispettare maggiormente la dignità di una persona se non rispettando la sua volontà? Fa poi davvero sorridere il richiamo fiducioso e entusiasta alla tecnologia, dopo che tante condanne, da parte dei cattolici, nei confronti delle biotecnologie sono state costruite sul richiamo alla “naturalità”. Pessina auspica infatti che i pazienti e la stessa società “rifiutino questa demonizzazione della tecnologia e della medicina di supporto vitale”. Possono già farlo. Chi non intende sospendere i trattamenti può rifiutare questa demonizzazione della tecnologia, sottoponendosi alle forme più estreme di accanimento terapeutico. È civile e doveroso permettere, però, a chi la pensa diversamente di rifiutare le cure. Di scegliere della propria vita e della propria morte. Scegliere di rifiutare le cure non è una rinuncia, come Pessina sostiene, ma una scelta individuale, intima e incontestabile di libertà.
Il testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica