Fu Spencer Tracy, attore simbolo della Hollywood progressista, a dare volto e voce sullo schermo all’avvocato Clarence Darrow, che nel 1925 difese John Scopes, accusato a Dayton, nel Tennessee, di aver violato la legge di quello Stato americano, popolato in maggioranza da ferventi cristiani, che proibiva di insegnare la teoria darwiniana sulla discendenza dell’uomo da animali meno evoluti. Il film di Stanley Kramer Inherit the Wind (E l’uomo creò Satana in versione italiana), presentava la vicenda, passata alla storia come «il processo della scimmia», come uno scontro tra la luce della scienza e le tenebre della superstizione. Ma oggi c’è chi rovescia quel giudizio. Giulio Meotti, giornalista del Foglio , ha intitolato appunto Il processo della scimmia un libro edito da Lindau (pp. 245, 19,50) in cui riporta sul banco degli imputati le teorie darwiniane. In parte perché il cieco meccanismo evolutivo gli pare inadeguato a spiegare l’origine della vita. Ma soprattutto perché a suo avviso Darwin, riducendo l’uomo a un semplice animale, ne avrebbe ferito irrimediabilmente la dignità, autorizzando ogni esperimento sulla sua pelle. […] Critico verso il darwinismo è monsignor Fiorenzo Facchini, autore del saggio Origini dell’uomo ed evoluzione culturale (Jaca Book), un ecclesiastico che insegna all’ateneo di Bologna: «C’è il rischio di vedere l’uomo come una scimmia più evoluta. Ma se si osserva bene l’evoluzione umana ci si accorge che emerge un comportamento non riducibile al fatto biologico. Cultura, progettualità, simbolizzazione sono aspetti che esprimono discontinuità rispetto alle forme non umane. È ciò che sul piano filosofico Giovanni Paolo II ha chiamato salto ontologico». […] Barsanti puntualizza: «Darwin segnala come un problema il fatto che i soggetti deboli e malati nella società moderna non soccombono alla selezione naturale, come avveniva un tempo, ma aggiunge che naturalmente la morale c’impone di sopportare l’effetto che ne deriva sul piano biologico. E parla di limiti da porre in questi casi alla libera procreazione. Il suo erede, Theodosius Dobzhansky, che pure si professa eugenista, si limita a raccomandare il consulto genetico. Propone di informare le persone interessate dei possibili rischi per i loro figli, non di usare metodi coercitivi nei loro riguardi».
Sta di fatto però che misure coattive, anzi brutali, vennero poi assunte. Francesco Cassata, autore del saggio Molti, sani e forti (Bollati Boringhieri) sull’eugenetica in Italia, dissente «da chi traccia una linea continua da Darwin a Hitler», ma ricorda che «l’eugenetica s’intreccia con il darwinismo sociale, che utilizza alcune metafore dell’evoluzione, banalizzandole, per applicarle alle società umane. In Italia non si affermò l’eugenetica negativa delle sterilizzazioni forzate, bensì un’eugenetica positiva meno violenta, ma comunque coercitiva. Il celebre medico Nicola Pende, sotto il fascismo, propose una schedatura sanitaria da aggiornare periodicamente per collocare ogni individuo al posto “giusto”, nella scuola come nel lavoro. L’idea fu applicata ai coloni delle paludi pontine e anche ai balilla. Gli alunni erano sottoposti a visite e indirizzati verso le cosiddette classi differenziali quando si riteneva che le loro capacità fossero inferiori alla media. Fu influenzato dalle teorie eugenetiche anche Luigi Gedda, presidente dell’Azione cattolica, che ebbe intensi legami con il genetista tedesco Otmar von Verschuer, maestro di Josef Mengele, e scrisse un saggio sul meticciato in cui sosteneva la scientificità del concetto di razza».
Il testo integrale dell’articolo di Antonio Carioti è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera