Milano, l’aborto con una pillola, sperimentazione in un ospedale

A Milano la pillola abortiva è già in uso. Al Buzzi, conosciuto come l’ospedale dei bambini, da sei mesi è in corso una sperimentazione con un farmaco che provoca un aborto spontaneo entro sette settimane dal concepimento. La Regione, che ha da poco vietato alla Mangiagalli di somministrare la pillola francese Ru486 alle donne che chiedono di interrompere la gravidanza, ufficialmente non ne è a conoscenza perché il medicinale somministrato alle donne nell’ospedale di via Castevetro è regolarmente in commercio in Italia, a differenza della Ru486 che deve essere importata dalla Francia e necessita quindi delle specifiche autorizzazioni. La pillola del Buzzi viene regolarmente usata per interrompere le gravidanze extrauterine, ma si sta rivelando estremamente efficace anche nell’interruzione di quelle normali e al Buzzi viene proposto in alternativa all’aborto chirurgico e somministrato in day hospital. Dopo aver preso la pillola davanti al medico, la donna torna a casa e si ripresenta al terzo giorno per un controllo e per assumere un altro medicinale, che serve ad accelerare le contrazioni e a facilitare l’espulsione dell’embrione. Un ulteriore controllo, dopo una settimana, verifica che l’operazione sia riuscita regolarmente. Nella stragrande maggioranza dei casi, il ritorno a casa avviene senza alcuna necessità di intervento medico per un raschiamento. La direzione del Buzzi e in particolare il primario di Ginecologia Umberto Nicolini, utilizzando un medicinale registrato e in vendita in Italia, non sono quindi stati costretti a passare dalle forche caudine del Comitato di bioetica. Né – evidentemente – hanno avuto interesse finora a pubblicizzare la notizia per evitare polemiche e clamori, tanto che il primario, interrogato a proposito, si limita a confermare con poche parole: “Sì, da sei mesi abbiamo iniziato a proporre questa modalità per interrompere le gravidanze non desiderate. Il nostro è semplicemente un interesse di carattere scientifico. Abbiamo anche il desiderio di andare incontro alle esigenze di alcune donne contrarie all’intervento chirurgico, ma solo nel caso che il concepimento sia avvenuto da pochissimo tempo, cioè sette settimane”. […]
Il testo completo dell’articolo di Zita Dazzi è stato pubblicato sul sito di Repubblica

Archiviato in: Generale