Scuola pubblica in mani private: un intervento di Sergio Romano

[…] Anch’io ho letto le dichiarazioni del patriarca di Venezia ad Aldo Cazzullo con molto interesse. E anch’io vedrei con piacere una pluralità di istituzioni scolastiche, confessionali o laiche, organizzate secondo diversi criteri pedagogici e distinte da una «maggiore libertà quanto ai programmi, ai contenuti, ai metodi di insegnamento». La scuola statale italiana ha avuto grandi meriti e ha fissato, dopo la riforma di Giovanni Gentile, livelli d’insegnamento a cui le scuole private, per preparare i loro allievi agli esami di Stato, avevano l’obbligo di conformarsi. Oggi, per molti aspetti, questa funzione si è perduta per due ragioni. In primo luogo perché una scuola che promuove, al momento della maturità, più del 90% dei suoi allievi, non è più il modello con cui le istituzioni private debbono misurarsi. In secondo luogo perché Scola ha ragione quando suggerisce che essa è stata molto influenzata da una ideologia dominante che definirei «democratico- giacobina» e da un corpo insegnante che ne insegna spesso i principi con spirito dottrinario e formule catechistiche. I miei dubbi sorgono quando leggo gli argomenti con cui il patriarca interpreta l’art. 33 della Costituzione là dove dice che «la Repubblica (…) istituisce le scuole statali per tutti gli ordini e gradi», mentre «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Per Scola, questo articolo obbliga lo Stato a istituire le scuole, ma non a gestirle. Qual è il senso di questa affermazione? Che lo Stato, dopo avere istituito la scuola, ne affida la gestione ai privati, ma ne assicura il finanziamento? Oppure che lo Stato costruisce l’edificio e garantisce alcuni necessari servizi, ma permette, con qualche aiuto finanziario, che i privati gestiscano la scuola come un’impresa, a loro rischio e pericolo? A giudicare da un’altra frase dell’intervista («nessuna famiglia e scuola sarebbe costretta a pagare il diritto all’istruzione due volte, con le tasse e poi con le rette scolastiche») ho l’impressione che il patriarca pensi alla prima formula, vale a dire a un sistema in cui lo Stato paga e garantisce la gratuità dell’insegnamento, ma permette che il servizio venga gestito con grande libertà da enti e associazioni privati. Temo che questa prospettiva contenga parecchi inconvenienti e assomigli alla pratica dell’«outsourcing» che gli americani hanno adottato in Iraq quando hanno attribuito ad alcune ditte (fra cui in particolare il colosso Halliburton) certe funzioni paramilitari che in passato erano state direttamente esercitate dalle forze armate. È giusto che una parte dell’educazione venga assicurata da scuole private. Ma è opportuno che i gestori delle scuole impegnino il loro denaro e corrano i loro rischi. Lasciare la gestione ai privati e i rischi allo Stato mi sembra una cattiva soluzione, anche sul piano morale. Forse la formula migliore è quella dei «matching funds», del concorso paritario con cui lo Stato, dopo avere accertato la serietà dell’iniziativa, fornisce una somma corrispondente a quella investita dai privati.
Il testo integrale dell’intervento di Sergio Romano è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera

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