Così bruciò il Messia peccatore

Il 28 febbraio 1993 gli agenti federali del Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms (Atf) – il cui compito è perseguire i reati commessi a causa dell’uso di alcol, tabacco ed armi da fuoco – entrano a sorpresa nel ranch della setta dei davidiani sul centro del Monte Carmelo, una piccola proprietà a meno di 17 chilometri dalla cittadina texana di Waco. Il blitz causa la morte di quattro agenti e cinque davidiani, così chiamati perché seguaci del leader della setta messianica, David Koresh. A questo punto l’Fbi dà inizio a un assedio di 51 giorni concluso il 19 aprile con un incendio che distrugge completamente il complesso abitato, causando la morte di 76 persone, inclusi 27 bambini e lo stesso Koresh. Sui corpi di venti vittime vengono trovati proiettili. La strage lascia il segno sul grande pubblico che comincia a interrogarsi sulle cause dell’incendio-killer, sollevando dubbi che ancora oggi sono oggetto di dibattito: se l’inchiesta del governo imputò a una scelta suicida dei davidiani la responsabilità delle fiamme, altre testimonianze continuano a indicare l’origine in uno o più candelotti pirotecnici che vennero lanciati dall’Fbi. Da qui l’ipotesi che vi sia stato un complotto ai danni dei davidiani, ovvero la decisione degli agenti federali di eliminarli in blocco, puntando sull’effetto-deterrenza nei confronti della proliferazione di altri gruppi altrettanto violenti, fondamentalisti e ostili al rispetto delle leggi americane. […] Per avere un’idea di cosa intendeva David Koresh per autogoverno bisogna rileggere l’articolo sul «Messia peccatore» che il quotidiano Waco Tribune-Herald pubblica il 27 febbraio 1993, imputando al leader messianico di abusare sistematicamente di donne e bambini, essere sposato a decine di mogli spesso minorenni, rivendicare il diritto a 140 consorti, gestire la propria comunità in maniera dispotica e obbligare i seguaci a idolatrarlo come fosse una sorta di divinità terrena. A questo bisogna aggiungere che nel 1992 i servizi postali di Waco fanno sapere al locale sceriffo di aver recapitato a Koresh una cassetta di granate militari pronte all’uso, ponendo così le premesse per un’indagine di tipo criminale. […]
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