«Come abbiamo fatto a precipitare in questo vicolo cieco in cui anche noi donne abbiamo accettato il termine embrioni, come se potesse prescindere da chi sceglie il dar loro la possibilità di nascere e di vivere come esseri umani»? «Come possiamo parlare di embrioni senza la madre»? «Non sta forse in questo una delle ragioni fondamentali della sconfitta del referendum sulla legge 40?». Domande a partire dalle quali si sono confrontate deputate e senatrici dell’Unione e alcune importanti associazioni di donne nell’affollata assemblea che si è tenuta lunedì alla Casa delle donne di Roma. Insieme si sono ricostruite le tappe che hanno configurato lo scenario attuale: un biologismo esasperato e onnipotente, trionfo della tecnica, che ha consentito di chiamare vita umana una cellula; una politica, che ha portato ad una legge mostruosa come la 40, che affronta le scoperte e le pratiche delle scienze della riproduzione sul corpo delle donne, trasformandosi appunto in «biopolitica», intesa come comando sulle libertà anche le più intime e personali; la polarità attuale, come ha spiegato Grazia Zuffa, tra chi ritiene che l’embrione sia solo materiale genetico (riduzionismo biologico) e chi lo considera «persona». In questo scenario la ricchezza delle esperienze, delle relazioni e delle elaborazioni delle donne non ha avuto spazio. Le nostre vite, le nostre manifestazioni, i nostri libri, saggi, articoli, convegni, non sono bastate. Ed è con questo scenario che ora dobbiamo fare i conti. Come hanno fatto le senatrici del Prc che hanno svolto un’opera preziosa di mediazione sulla mozione sulla ricerca sulle cellule staminali approvata di recente al Senato e riproposta dal Ministro Mussi al Consiglio europeo. Come cominciano a fare anche le associazioni, da «Usciamo dal silenzio» ad «Orlando», che si misurano con la bioetica, affinché non sia giudizio astratto sul bene e sul male, ma sia intessuta della partecipazione dei soggetti concreti. Ma intanto che fare sul permanere della mostruosa legge 40? I problemi delle coppie o delle singole donne che hanno scelto di avvalersi delle tecniche di riproduzione assistita permangono e si aggravano: tra le polarità del riduzionismo biologico e del fondamentalismo religioso, scorre la loro vita quotidiana, costretta dai divieti e dalle imposizioni della legge. L’80% delle persone che si rivolgono ad associazioni come “Cerco un bimbo” e “Amica cicogna” si dichiarano cattoliche praticanti e non comprendono i furori ideologici che si stanno scatenando, di fatto, anche contro di loro. […]
Il testo integrale dell’articolo di Isabella Peretti è stato pubblicato sul sito di Liberazione