La guerriglia di Padova (anche in nome della fede)

Tenute in ostaggio dalla povertà, che impedisce loro di trovare un’altra casa, la Livia e la Giovanna non sapevano che cosa fare, l’altra sera, allo scoppio della battaglia tra i neri e gli arabi. Così, serrati i catenacci, hanno detto un pateravegloria e aspettato che gli scontri, giù per i pianerottoli, i cortili e le strade adiacenti, si sedassero. Cinque ore di guerriglia. Con i due «eserciti» armati di bastoni, machete, coltelli, spranghe… Di qua i nigeriani decisi a devastare anche il sottoscala eletto dai musulmani a moschea, di là i maghrebini decisi a vendicare l’offesa verniciata di motivi più o meno religiosi. E decine di poliziotti che tentavano di sedare la gigantesca rissa (21 arresti e 50 espulsioni) sparando in aria, lanciando candelotti lacrimogeni, circondando l’area fra latrati di sirene. Vita durissima per le ultime italiane sopravvissute negli anni all’invasione di via Anelli, il block padovano diventato sinistramente famoso in tutta Italia come l’esempio massimo della cattiva integrazione. Il caso esemplare cavalcato dai razzisti come la prova che «i negri e i marocchini fanno i padroni a casa nostra» e paventato dagli anti-razzisti come la prova di quanto possa essere disastroso consentire la nascita dei ghetti. Durissima la vita loro e durissima quella delle decine di famiglie degli immigrati regolari e perbene che tirano su i figli in una situazione di degrado, violenza, pericolo. E chiedono aiuto ai carabinieri e non vedono l’ora di andarsene, esattamente come la Livia e la Giovanna. […] Prossima evacuazione prevista: a ottobre, quando anche la Lidia e la Giovanna e un’altra trentina di famiglie dovrebbero essere «liberate». Chiusura del «caso via Anelli» con lo sgombero delle ultime due palazzine: prima della prossima estate. Auguri. Sperando che questa passi in fretta. Il caldo, nell’inferno di quelle palazzine, tira fuori il peggio del peggio. Se poi la devastazione della moschea fosse usata per scatenare anche una guerra religiosa…
Il testo integrale dell’articolo di Gian Antonio Stella è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera

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