Caro Direttore,
ogni guerra degna di questo nome può conoscere una tregua. Mi permetto di suggerire che la Guerra Culturale da Lei condotta contro la libertà di ricerca scientifica e di terapia si conceda una tregua sul fronte estivo che pare più rovente, quello della pillola abortiva RU486. Le munizioni per tanti attacchi verrebbero al Foglio da dati di natura medico-clinica. In sintesi, la pillola RU486 non sarebbe un metodo abortivo più sicuro dell’aborto chirurgico, ma una “kill pill” – come ha imparato a memoria anche il soldato Volonté – che farebbe soffrire di più e più a lungo, che farebbe correre più rischi alla donna, che ucciderebbe. Le confesso che l’argomentazione lascia il nemico disorientato. Ma come – verrebbe da dire – non era la pillola assassina colpevole di banalizzare l’aborto, di ridurre l’assassinio del feto-persona a pratica contraccettiva? […] Abbiamo informazioni e dati discordanti (a disposizione), ma non è questo il punto. A “noi”, abortari e sadici, basterebbe che scegliesse la donna con l’aiuto del medico, e che il medico consigliasse in base a ciò che si discute non nelle aule parlamentari o sui bollettini di guerra, ma nei congressi dei ginecologi; quei congressi, per intenderci, che ormai negli USA si svolgono in clandestinità, per paura che qualche fondamentalista non-islamico faccia saltare tutto per aria (à la guerre comme à la guerre, avranno spiegato alle reclute in qualche madrassa evangelica!). Lo so, l’ho già stufata. I dati dei ginecologi L’annoiano tanto quanto i cavilli grazie ai quali la burocrazia giudiziaria cerca di fermare l’azione deontologicamente impeccabile del “nostro” Silvio Viale. Effettivamente, senza troppi ginecologi e magistrati, al tavolo della tregua si potrebbe parlare di libertà e responsabilità nelle scelte riproduttive. E invece, ogni giorno aspettiamo notizie dal fronte, per sapere finalmente se la pillola è cattiva perché funziona bene o perchè funziona male.
Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni
Risposta del direttore:
L’aborto, al quale si deve poter ricorrere in strutture pubbliche in casi eccezionali e non come ordinaria libertà di “controllare” la riproduzione, cioè uccidere qualcuno cui si è data la vita, non è questione ginacologica ma civile, umana. La Ru486, e questo lo penso e lo scrivo da vent’anni, non è una tecnica neutra antidolore ma un modo (doloroso e insicuro, secondo molti) per rendere l’aborto solitario e privato. È la logica di Roe vs Wade, la difesa della privacy, che le menti liberal più aperte si sono decise a contestare anche nell’abortista America (vedi il saggio di Jeffrey Rosen sulla cultura della Corte suprema).
Dal sito dell’associazione Luca Coscioni