Erano notti interminabili, notti alla Fidel Castro. Conversazioni, più spesso lunghi monologhi, e lui che riprendeva il fiato solo per accendere il sigaro. Nel suo ufficio al Palazzo della rivoluzione: sempre una lunga cena e poi avanti fino a quando fuori già albeggiava. Oppure quando piombava all’improvviso, alle tre di notte, in una delle case del Miramar per gli ospiti arrivati da fuori, che già dormivano. «Eccomi, perdonate il ritardo. Facciamo due chiacchiere?» Gesù Cristo e Marx, la liberazione e la rivoluzione, la fede e la giustizia, la Chiesa e l’America Latina. Arrivavano dal Brasile i due uomini ai quali Fidel Castro aveva, per così dire, appaltato curiosità e dubbi sulla religione. Due amici veri, Frei Betto e Leonardo Boff, frati, uomini di fede e socialisti, guardati con sospetto dal Vaticano. Erano gli anni della Teologia della Liberazione, dei «vescovi rossi», prima della stretta decisa da papa Wojtyla. I due viaggiavano a Cuba varie volte all’anno. Discretamente, come tutti gli intimi al cospetto del líder máximo. Quasi clandestinamente, come il fatto che i libri dei due teologi brasiliani Castro li divorava, li riempiva di sottolineature, per poi chiederne conto agli autori, nelle lunghe notti cubane. «Un giorno Fidel ci disse: Betto e Leonardo, il giorno della mia morte io vi vorrei qui entrambi, al mio fianco» […] Boff oggi ha 68 anni e vive ritirato a Petropolis, sulle montagne dietro Rio de Janeiro. «Mi sarebbe piaciuto andare a Cuba in questi giorni, ma non sto bene. Betto invece è partito subito. Da anni ha sempre in tasca un biglietto per l’Avana, pronto a prendere l’aereo in qualunque momento». «Mi aveva proposto un viaggio a dicembre, insieme, poi l’altro giorno ho ricevuto un suo email da là. Forse l’ha chiamato Fidel, forse si sta sentendo alla fine, chissà…». […]
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