[…] In cime pensai: non c’è curia o Vaticano capace di tenere a bada la potenza del sacro in Appennino. Sul libro dei visitatori, i sopravvissuti alla scalata, in gran parte donne, non annotavano i loro nomi o brevi preghiere ma circostanziate richieste di guarigione da malattie, talvolta ricche di particolari intimi. Alle donne del Sud non importava tanto chi fosse Rita e cosa fosse scritto di lei. A loro bastava che Rita fosse femmina. Solo una donna poteva portare salute e fertilità, recapitare le loro richieste alla Grande Signora oltre il muro dell’invisibile. “Dio non esiste al Sud”, esordisce a effetto Marino Niola, che incontro a Vallo di Lucania prima del salitone alla Madonna di Velia. “Qui Dio è un concetto troppo astratto. Esistono tanti dei, energie sacre legate a particolari luoghi o dipinti miracolosi. Quanto a Cristo, c’è: ma deve tutta la sua importanza al fatto di essere figlio di Maria. Maria è il corpo, e qui al Sud il sacro passa per il corpo. Maria è tutto, fertilità, famiglia, l’ordine”. Prendiamo il fresco sotto un gelso, accanto a una bottiglia imperlata di vino bianco, e Marino naviga tranquillo per i suoi oscuri arcipelaghi. “Sai cosa m’hanno detto un giorno a Napoli? Che Cristo è uno che ha fatto del male alla mamma, e anche per questo è morto in croce…”. Diavolo d’un Niola, in altri tempi sarebbe finito al rogo. “Persino la criminalità organizzata – incalza – ha un lessico familiare materno. Si dice: mamma comanda e picciotto fa. Il capo è mammasantissima. Il pizzo si chiama “olio per la madonna”. E i boss sono, a modo loro, religiosissimi”. “L’autentico vestibolo del mistero italico è qui, in Campania, al museo di Capua, nella sala delle Madri. Monoliti anche di due tonnellate, un’assemblea terrificante di donne in pietra, con in braccio neonati. Alcune ne hanno sei per parte. Ecco, lì sei di fronte all’abisso, alla potenza generatrice del sacro. E poi – incalza – nelle contrade interne della Campania felix inizia la trasfigurazione del mondo pagano in quello cristiano…”. Finiamo parlando dei morti che non parlano più ai vivi, perché oggi “ci sono troppe luci”, e della gente di Crotone che ha una grave allergia alle fave, proibite secoli fa – guarda caso – dal loro conterraneo Pitagora “per il rischio che i trapassati risalissero in superficie dal gambo”. Basta Marino, basta, o stanotte non dormo.Dura salire al santuario di Velia ignorando il richiamo della costa delle Sirene verso Palinuro. Sono sderenato dalla Topolino, un tuffo salvifico ci starebbe. Ma non cedo. “Ave Maria e avanti, la madonna ti aspetta” sta scritto sui tornanti, e Nerina va, ansima, tira di prima, s’infila tra faggi tenebrosi, arriva col fiatone a quota 1700, sotto un gigantesco monolito appoggiato sui boschi come un missile sulla rampa di lancio. In cima a tutto, una gigantesca croce a traliccio, a sfidare i fulmini. […] Con infinita pazienza una suora apre la teca di vetro ai pellegrini. Dentro, non un’icona rigida ma una scura bambolona paffuta, dolce, conciliante e per nulla severa. […] Dalla cima, una favolosa trigonometria femminile. A Oriente il santuario della Madonna della neve. Verso Avellino la Vergine del Monte Partenio, ex santuario della dea Cibele narrato da Virgilio. A Ovest, verso il mare, l’Heraion di Paestum, dove si venerava la dea del melograno, oggi Madonna del granato. Torno a valle con la certezza di avere solo sfiorato il senso di questi luoghi.
L’articolo di Paolo Rumiz è raggiungibile sul sito di Repibblica