Bolzano: la città che cambia e il bisogno della croce

La proposta di Klaus Ladinser di spegnere di notte l’illuminazione della croce sul Monte Tondo ha stimolato un interessante dibattito. Il punto fondamentale però, é la presenza stessa della croce. Quale funzione svolge la sua esposizione? La croce, per parte della popolazione, dovrebbe richiamare l’attenzione su Cristo, sui valori cristiani e sulla loro applicazione nella vita quotidiana. Per un’altra parte, e questo è l’ aspetto meno nobile, la croce rappresenta anche un argine al cambiamento e alla diversità. Il cambiamento che si manifesta nella nostra società con l’adozione di nuovi costumi, di nuovi stili di vita e di nuovi atteggiamenti nei confronti della religione. La diversità, invece, che proviene dall’esterno ed é rappresentata dagli stranieri portatori di mentalità e religioni non “appartenenti alla nostra tradizione”. Per coloro che la pensano in quest’ultimo modo la croce sul Monte Tondo, così come il crocifisso all’interno degli edifici pubblici, sembra rappresentare l’ultima barriera di fronte sia al cambiamento, che alla religione islamica e, in generale, al fenomeno dell’immigrazione. L’unica possibile difesa dei nostri diritti e dei nostri principi democratici, contro ogni fanatismo religioso, è il rafforzamento della laicità dello Stato e delle sue istituzioni. Quanto più forte sarà la separazione tra Stato e Chiesa, tanto più forte sarà la barriera contro ogni sopraffazione o dittatura religiosa. Quanto più solida e diffusa sarà nella gente la convinzione che la laicità sia un valore fondamentale, un bene pubblico da difendere, tanto più forte sarà la rivolta contro ogni tentativo di minare la nostra libertà e i nostri diritti civili. Anche la “parte caritatevole” dei cristiani, quella che rifiuta le tentazioni razzistiche e che vede nella croce un richiamo a Cristo e ai valori del cristianesimo, dovrebbe riflettere sull’opportunità di tale imponente esposizione di un simbolo religioso. La croce sul Monte Tondo sovrasta una città che è cambiata, molto diversa da quella di cinquanta anni fa. I cattolici praticanti, oggi, sono solo una parte di una popolazione molto più variegata composta da atei, agnostici, ebrei, buddisti, credenti di altre sette e religioni. È una città, come altre in Italia e nel mondo, che ha adottato nuovi costumi e nuovi stili di vita, molti dei quali sono in netto contrasto con i principi cristiani o con la dottrina della Chiesa Cattolica. Si pensi alle nuove tipologie famigliari, alle libere unioni o convivenze, ai nuclei famigliari costituiti da divorziati o separati, sposati o in convivenza, con o senza figli da precedenti unioni. Prima che i benpensanti inizino a segnarsi o a maledire quanto leggono dovrebbero guardarsi attorno. Troveranno sicuramente un figlio o una figlia, una cara nipote o un intimo amico che si trova in una di queste situazioni. Molti altri, però, sono i segni di questo cambiamento che nulla ha a che fare con l’Islam. Ad esempio la crescita delle famiglie composte da una sola persona (il 38,5% del totale), è un dato che porta con se diverse letture e interrogativi ma che lascia anche presumere che le persone reclamino una vita relazionale e sessuale più autonoma, più libera e meno sottoposta a dettami religiosi.
Altri segni di questa contrapposizione sono la scomparsa dell’accusa, rivolta ai divorziati, di condurre una vita immorale, la diffusione dell’uso dei metodi anticoncezionali (il 60,6% delle famiglie è senza figli), il ricorso alla procreazione assistita, l’apertura verso i rapporti e le unioni omosessuali. Infine il crollo dei matrimoni religiosi che 50 anni fa, all’epoca della posa della prima croce sul Monte Tondo, erano la quasi totalità delle unioni e che oggi si situano sotto il 30% (il 21,5% del 2004). Sono netti segnali che è in corso una rivoluzione nelle abitudini sociali, nei costumi sessuali, negli stili di vita e nel pensiero della nostra popolazione. Tutto questo accade, sembra quasi impossibile, senza che il mondo crolli. Anzi i problemi rimangono quelli di sempre: la pace e la guerra nel mondo; il lavoro e l’arrivare a fine mese per le famiglie; l’amore che fa gioire e soffrire ogni singolo individuo. Eppure c’è chi pensa che i cambiamenti nella nostra società dovrebbero incuterci terrore. C’è chi pensa che il nostro modo di vivere la famiglia e la sessualità, in primis, dovrebbe essere diverso. Ci deve essere quindi un simbolo che ci ricordi che stiamo sbagliando, sbagliando e sbagliando. C’è chi pensa poi che tutti dobbiamo riconoscerci nella croce, credenti o non credenti, ebrei, mussulmani, atei, agnostici o buddisti … e che dobbiamo pure pagare per poter vedere questo simbolo sempre illuminato a giorno. No! Non si può smettere di protestare contro l’imposizione di un simbolo religioso. Lo si deve fare per gli stessi principi di libertà di opinione e di pensiero, in virtù dei quali protesteremo se ci venisse imposto un simbolo di un partito politico, magari innalzato lì, sulla cima di una montagna, per ricordarci “valori” e comportamenti da seguire.
Paolo Gelmo, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, Circolo di Bolzano
L’articolo è stato pubblicato sul numero di ieri del quotidiano “Alto Adige”
In seguito alla proposta dell’Assessore comunale (con la “proposta compromesso”
di Luigi Gallo ­di Rifondazione Comunista ­ di spegnere non alle 23 ma alle 24 l’illuminazione della croce) sono uscite numerose dichiarazioni e prese di posizione. Una nota: il costo per il consumo di energia elettrica per l’illuminazione della croce supera abbondantemente i 10 mila euro. I 4700 euro di cui si parla negli articoli di stampa si riferiscono al risparmio che si otterrebbe se l’illuminazione venisse spenta alle 24:00.