“Muhammed ha fatto giustizia”. Perché Hina “non si comportava da brava musulmana, anche se suo padre non l’ha mai picchiata, né ha mai abusato di lei”. Bushra, la mamma della giovane pachistana uccisa e sepolta nell’orto di casa dieci giorni fa da suo padre, è comparsa all’improvviso, venerdì pomeriggio, nella stazione dei carabinieri di Villa Carcina. Accompagnata dai tre figli più piccoli, ha detto al piantone all’ingresso: “Voglio denunciare mio marito, ha ucciso mia figlia”. Ai carabinieri che le spiegavano che l’omicidio era già noto e che non serviva la sua denuncia ha risposto: “Da noi si usa così”. Ora Bushra è nascosta in una comunità protetta, dove nessuno può avvicinarla, con i suoi figli di 17, 12 e 10 anni. Mancano all’appello le sue due figlie più grandi. “Sono rimaste in Pakistan”, ha spiegato. Una delle due è la moglie di Mahmood Zahid, il 27enne terzo uomo della notte del massacro, ancora ricercato. […] Hina viveva, vestiva, amava all’occidentale, questo non era un mistero neanche per la sua famiglia, da cui era più volte scappata. Anche quando era arrivata a denunciare suo padre, facendo intendere che aveva più volte provato ad abusare di lei, sua madre non aveva mai preso le sue difese. Una versione che, fino all’altro ieri, era raccontata solo dagli amici di Hina, ma che venerdì pomeriggio – nelle lunghe ore in caserma – la donna non ha smentito. Chi ha ascoltato il suo racconto ha avuto l’impressione di una donna che cercasse solo di fare il suo dovere, denunciando suo marito. Ma senza alcuna vera accusa nei suoi confronti. La colpa, nelle parole della madre, era di Hina, non di Muhammed. “Non era una buona pachistana, mia figlia”, dietro queste parole c’è la condanna a morte di Hina, che nessuno della sua famiglia ha voluto salvare.
Il testo integrale dell’articolo di Oriana Liso è stato pubblicato sul sito di Repubblica