[…] Questa è una di quelle storie che shoccano gli europei e marcano la diversità fra le due sponde dell’Atlantico, perché nel Vecchio continente nessun designer si sognerebbe di fare proselitismo attraverso le etichette dei vestiti. Eppure Don Chang e sua moglie Jin non ci hanno pensato su un momento, stampando versetti della Bibbia e altri messaggi religiosi sulla loro merce. E gli affari non ne hanno risentito: anzi. […] Don Chang, il fondatore, è un coreano emigrato a Los Angeles nel 1981. Di mestiere piazza vestiti, peraltro piuttosto sexy, ma la sua vera vera passione è Cristo. Lui e la moglie Jin sono evangelici convinti, e a differenza di Kerry pensano che la fede debba avere un ruolo evidente nella vita di tutti i giorni. Anche nel lavoro, quindi. Perciò hanno deciso di lanciare piccoli messaggi ai clienti, incorporati nella merce. Ogni busta di «Forever 21», ad esempio, sfoggia in un angolo la scritta «John 3:16». Cos’è, la misura di quella minigonna appena acquistata per un pugno di dollari? O la lunghezza del collo dell’ultima camicia di grido? No, è il famoso versetto del Vangelo di Giovanni, che recita così: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Chi compra qualcosa da «Forever 21», insomma, fa pubblicità a Cristo. Qualche cliente sostiene che pure le etichette dei vestiti nascondono simili messaggi subliminali. Interrogati sulla questione, i portavoce della compagnia californiana non hanno mostrato alcuna vergogna: «È vero, si tratta di una dimostrazione della fede del nostro proprietario». Alcuni clienti atei, laici, musulmani, ebrei, o semplicemente affezionati alla concezione privata della fede, si sono lamentati. La maggioranza, però, o non ha fatto caso al messaggio, oppure lo ha accettato come una curiosità intrigante.[…]
Il testo integrale dell’articolo di Paolo Mastrolilli è stato pubblicato sul sito della Stampa