Amartya Sen e il multiculturalismo

Tutto iniziò in Canada. Ed iniziò bene. Nel 1971 il Canada fu il primo Paese ad adottare ufficialmente il multiculturalismo. Come dichiara con orgoglio il sito web del Canadian Heritage , «il Canada affermò così il valore e la dignità di tutti i cittadini indipendentemente dalle origini razziali o etniche, dalla lingua o dalla religione». Il multiculturalismo fu poi adottato ufficialmente dalla maggior parte degli Stati dell’Unione europea, con la Gran Bretagna alla testa di una tendenza che andava diffondendosi e che divenne rapidamente di moda in tutto il mondo. Ma quei tempi felici sono finiti, almeno in Europa. Ora francesi e tedeschi nutrono molti dubbi sull’opportunità di mantenere questo atteggiamento, e danesi e olandesi hanno già modificato la loro politica ufficiale. Perfino la Gran Bretagna è in preda all’incertezza. Qual è, allora, il problema? La storia del multiculturalismo è un buon esempio di come un ragionamento fallace possa intrappolare la gente in nodi inestricabili, da lei stessa creati. L’importanza della libertà culturale, fondamentale per la dignità di ognuno, deve essere distinta dall’esaltazione e dalla difesa di ogni forma di eredità culturale che non tenga conto delle scelte che le persone farebbero se avessero l’opportunità di vedere le cose criticamente e conoscessero adeguatamente le altre opzioni possibili nella società in cui vivono. La libertà culturale pretende, in primis, l’impegno a contrastare l’adesione automatica alle tradizioni quando le persone (compresi i giovani) ritengono giusto cambiare il loro modo di vivere. Il valore che la diversità può avere, in termini di libertà, deve dipendere proprio da come viene determinata ed affermata. […] I leader politici inglesi ora si rivolgono spesso ai diversi gruppi di appartenenti alla stessa religione come a comunità separate, governate dalle loro tradizioni (naturalmente chiedendo che la politica religiosa abbia una forma «moderata»). I portavoce religiosi dei gruppi di immigrati vengono presi in considerazione – e hanno accesso ai corridoi del potere – come mai prima d’ora. Nuove «scuole religiose» vengono create con l’incoraggiamento e il sostegno del governo, che guarda con più attenzione a «equilibri» religiosi alquanto meccanici, secondo i desideri dei cosiddetti leader delle comunità, piuttosto che a questioni più importanti come i contenuti educativi e l’insegnare ai bambini a ragionare liberamente. Il ruolo di divisione di una scuola separata, così determinante nel seminare discordia nell’Irlanda del Nord, allontanando cattolici e protestanti (e instillando l’idea di classificazione fin dall’infanzia) è ora permesso e, in effetti, incoraggia a seminare alienazione in un’altra parte della popolazione inglese. Quel di cui abbiamo ora bisogno non è l’abbandono del multiculturalismo, né il rifiuto della meta di un’eguaglianza indipendente dalle «origini razziali o etniche, dalla lingua o dalla religione», ma il superamento di queste due confusioni che hanno già creato tanti problemi. È importante perché la libertà è fondamentale, ma anche per evitare ribellioni di emarginati come in Francia, e la crescente minaccia di correnti di pensiero violentemente separatiste, in ascesa in Gran Bretagna, che in alcuni casi hanno dato luogo ad azioni brutali. È importante riconoscere che il primo successo del multiculturalismo inglese era legato al tentativo di integrare, non di separare. Concentrarsi sul separatismo, come si fa ora, non è un contributo alle libertà multiculturali, ma è il suo opposto.

Il testo integrale dell’articolo di Amartya Sen è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera