Caro direttore, al Meeting dell’Amicizia di Rimini si parla oggi di laicità e laicismo in una tavola rotonda organizzata da monsignor Luigi Negri. Poiché il tema è cruciale per i nostri destini e anche per la politica italiana, desidererei anticipare ai Suoi lettori il mio punto di vista. Comincio da Giovanni Paolo II, il quale nel 1988 indirizzò ai laici una Esortazione apostolica. Esordì con una precisazione: «I laici – egli disse richiamandosi alla Costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II – sono tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa». Cioè, i laici sono christifideles, dunque credenti. Nel vocabolario corrente, il significato è il contrario. Col termine «laico» oggi indichiamo chi non crede. O, al più, intendiamo chi crede, ma che, per i propri convincimenti e orientamenti politici, usa solo risorse intellettuali. Per questo «laico» è diventato sinonimo di «razionale»: perché il laico (dice lui) è uno che si avvale della sola ragione. E per questo «laico» è diventato una sorta di titolo di merito: ci si dà del laico come ci si dà una pacca sulle spalle o ci si strizza l’occhio o ci si fa un gesto complice d’intesa. […] Anch’io sono un laico, ma non mi piacciono i complimenti. Ho un’opinione assai diversa, e cerco di dirla in modo rispettoso ma non complimentoso. […] Della laicità ci sono due versioni. Una sostiene che la religione deve essere separata dalla politica, e perciò la Chiesa deve essere separata dallo Stato. L’altra sostiene che la politica, e perciò lo Stato, deve essere gestita secondo criteri soltanto profani. Sembrano due versioni simili, ma non lo sono. Benché entrambe partano dalla distinzione tra «sfera pubblica» e «sfera privata», la concepiscono in modo diverso. Nella prima versione, la sfera pubblica è una libera arena in cui tutte le professioni religiose sono libere di giocare un ruolo. Nella seconda versione, la sfera pubblica è invece uno spazio vuoto in cui a nessuna professione religiosa è consentito di esprimersi. Di conseguenza, la prima versione consente che la politica sia orientata dalla religione. La seconda versione no: per essa qualunque elemento religioso trasferito nella vita politica è – come dicono i nostri laici – un’interferenza inammissibile. Per distinguerle e intenderci, conviene chiamare queste due versioni con nomi diversi. Diciamo allora che la prima versione è quella americana, in cui vale la socializzazione della religione come diritto delle varie comunità dei credenti ad esprimersi nella vita politica. La seconda versione è quella francese, in cui vale invece la privatizzazione della religione, o il suo confinamento nel «ghetto della soggettività», come si espresse a suo tempo il cardinale Ratzinger. Sempre nel tentativo di usare parole appropriate, possiamo dire che la prima versione è quella laica, la seconda è quella laicista. È mia opinione che il modello laicista francese abbia ormai conquistato l’Europa. È inoltre mia opinione che questo laicismo scavi, anche in Italia, nel tessuto della nostra tradizione come una malattia devastante. […]
La versione completa della lettera è raggiungibile sul sito del Giornale
Evviva le malattie devastanti con sintomi quali: democrazia, rispetto reciproco e razionalità ricca di dialogo. Viva la Francia portatrice di questo amabile virus.