Nei laboratori di Novalesa l’arcaica modernità dei monaci benedettini

Arcaico e ipermoderno, fianco a fianco, stretti in una prossimità che confonde, disorienta, rende ogni cosa precaria. Anche così, tra le tante definizioni, la postmodernità potrebbe essere raccontata. Il passato e il futuro che si toccano, senza regole e senza ordine prestabilito. Sì, mi dico mentre salgo verso il punto più alto della traversata da Trieste a Ventimiglia, nessun viaggio nel nostro continente come questo tra le vallate alpine può suscitare un tale disorientamento […] Mi attende l’Abbazia di Novalesa, una delle istituzioni più antiche ancora viventi delle Alpi. Dall’ottavo secolo, con qualche variazione sul tema, l’antichità più profonda arriva intatta fino a qui. Anche se là dentro, lo so già, nascosto nel silenzio millenario dei monaci troverò i segni di una modernità sorprendente: un centro di restauro di libri antichi all’avanguardia. «Quel poco che so dell’Abbazia – dico al mio interlocutore – l’ho rilevato dal vostro sito Internet. Ben fatto, tra l’altro. Direi supermoderno». Mi trovo con don Daniele, il responsabile del Laboratorio, nel magnifico chiostro su cui svetta l’impressionante mole del Rocciamelone. Folta barba bianca, fisico alto e massiccio, Daniele ha 66 anni, ed è il più anziano degli otto monaci benedettini di Novalesa, l’unico rimasto di quel primo gruppo che nel 1973 riaprì le porte dell’Abbazia dopo anni di abbandono. «Si stupisce che il sito Internet sia moderno? Ma sa, se si studia la storia dei monaci si scopre che noi siamo stati sempre terribilmente moderni. La tecnica e la scienza sono benvenute. Importante è che siano usate per il bene degli altri, non le pare?». Con l’aiuto della Provincia di Torino, la piccola comunità benedettina iniziò ormai 33 anni fa a lavorare sugli antichi edifici del complesso abbaziale, e poco a poco, dalle rovine e dall’abbandono, ritornò lo splendore di un tempo. «Ora et labora, prega e lavora, come disse San Benedetto: ma si ricordi che per noi il lavoro è tutto uguale: dal restauro più complesso alla pulizia dei pavimenti. Non si lavora per far soldi, ma per pregare…». […] Don Daniele mi racconta che per sei ore al giorno, insieme a un assistente, lavora in questa ala dell’Abbazia adibita al laboratorio. È un salone stretto e lungo con ampie volte per soffitto. Alti armadi, alcuni blindati, contengono carte, stampe, volumi antichi, pergamene. […] In fondo, si allineano le postazioni per la rilegatura e, in una sala a parte, trova posto la modernissima macchina per il restauro. Qui arrivano i volumi (trenta, quaranta all’anno) da biblioteche e da altri enti di conservazione, materiale storico-artistico sotto la Sovrintendenza del Beni culturali. Il lavoro, mi illustra don Daniele, comincia con la compilazione di una scheda del ministero in cui si specificano gli interventi e i tempi di lavorazione (un’ora di lavoro, 22 euro). […] «Noi non restauriamo il testo, ma solo la carta e la pergamena -, precisa don Daniele, – il contenuto non lo guardiamo neppure. Vede, da una quindicina di anni la mentalità è un po’ cambiata: il libro è considerato un’opera d’arte. Il suo valore sta anche nella sua storia, nel sapere chi l’ha posseduto, nell’erosione del tempo. […]

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Un commento

Barbara Monea

“Non si lavora per far soldi, ma per pregare”… a 22 euro all’ora?!
Quasi quasi inizio anch’io a pregare…

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