Da ieri ho un nuovo poster nel cuore: quello del dottor Carlos Lemus. Dirige l’ospedale «Simon Bolivar» di Bogotà, Colombia, dove è appena stato praticato l’aborto a una bimba di undici anni violentata dal patrigno. Il cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del pontificio consiglio per la famiglia, ha proclamato la scomunica. Del patrigno? No. Dei medici che hanno effettuato l’intervento, nonché dei familiari della piccola che avrebbero ordito «l’orrendo crimine». La violenza carnale? No. La decisione di far interrompere la gravidanza meno voluta e cercata del mondo. A questo punto entra in scena il dottor Lemus, cattolico praticante. Ascoltate le sue parole: «Come fedele, rispetto la posizione del cardinale, anche se non la condivido. Come direttore d’ospedale, mi assumo tutte le responsabilità di quanto è successo: che la scomunica colpisca me e soltanto me, non i medici che lavorano alle mie dipendenze. Come cittadino, ho disposto l’aborto in ossequio a una sentenza della Corte Costituzionale che fa esplicito riferimento ai casi di violenza in questione. Come uomo, infine, ho visto il visino angosciato della bimba quando è arrivata all’ospedale e quello del tutto trasformato quando ne è uscita: è quanto basta alla mia coscienza». La Chiesa fa bene a fare il suo mestiere. Ma forse lo farebbe meglio se i suoi campioni assomigliassero un po’ meno al cardinal Trujillo e un po’ di più al dottor Lemus.
L’intervento di Massimo Gramellini è stato pubblicato ieri sulla Stampa