Stati islamici preoccupati per l’eccesso di fatwa

La crisi dell’islam interessa anche i governi. Lo scorso 7-8 dicembre 2005 alla Mecca si è tenuto proprio un convegno per cercare di mettere qualche argine alla crisi dilagante. Al convegno, voluto dall’Organizzazione degli Stati Islamici, vi hanno partecipato politici e intellettuali musulmani da tutto il mondo. Il documento redatto come conclusione è davvero interessante. Cercherò di farne una disanima. Per prima cosa, nel documento si afferma e si riconosce esplicitamente la crisi nel mondo musulmano. Per cercare di salvare l’Islam dall’abisso, i capi di governo hanno elencato alcune cause della crisi. La prima è l’inflazione delle fatwa, divenute ormai un male delle società islamiche. […] Se un imam dichiara che siamo in una situazione di jihād, ciò vuol dire che ogni musulmano, secondo i mezzi a disposizione, ha il dovere di combattere l’aggressore per difendere o diffondere l’islam. Questo combattimento può essere con le armi e con la violenza fisica, dando luogo ai guerrieri, i mujāhidīn. Per chi non può combattere in modo diretto, il combattimento può essere fatto pagando altri che vanno a fare la guerra. Un altro modo di combattere – soprattutto contro gli atei – è difendendo l’Islam con gli scritti. Perfino le donne, facendo più figli, contribuiscono in questo loro modo specifico al jihād. In ogni caso, tutti i musulmani senza eccezione sono chiamati al jihād. […] Dopo aver criticato le fatwa sulla violenza, il documento della Mecca affronta il discorso sul takfīr, sul dichiarare l’uno o l’altro kāfir, cioè miscredente, ateo. A causa della crisi dell’Islam, nel mondo musulmano è cresciuta questa tendenza ad accusarsi reciprocamente di “miscredenza”. La ragazza pakistana uccisa da suo padre a Brescia in agosto, era considerata una “non buona musulmana”. Molti governi islamici sono accusati di aver tradito la causa musulmana e di essere miscredenti: è l’accusa che Al Qaeda fa all’Arabia Saudita, ma anche all’Egitto, alla Giordania, ecc… Nella guerra tra Iraq e Iran, ciascuno dei due Paesi ha dovuto prima dimostrare che l’altro era kāfir, per poterlo attaccare! Il documento della Mecca chiede di frenare questo reciproco ostracismo, che indebolisce l’unità della Umma, della comunità islamica. Più ancora, questa situazione dà dell’Islam un immagine di violenza che snatura l’Islam che è per natura sua – secondo il Documento – religione della tolleranza (dīn al-samāh). E i governi musulmani sono molto preoccupati dell’immagine, negativa e violenta, che il resto del mondo ha dell’Islam. I fondamentalisti invece non sono preoccupati da questa immagine: secondo loro ciò dimostra ancora di più quanto l’occidente sia corrotto, al punto da non capire che la violenza contro il Male è un Bene. […]

Il testo integrale del gesuita Samir Khalil Samir è stato pubblicato sul sito Asia News