Abortire in casa? In Francia è possibile e le donne che lo preferiscono sono in aumento. La notizia è stata data con rilievo dai giornali francesi mentre da quelli italiani non è stata ritenuta degna di nota. E’ aumentato il numero delle donne che preferiscono interrompere la gravidanza fra le mura domestiche. Nel 2005, 10mila aborti su 200mila sono stati praticati fuori dalle strutture ospedaliere e il Ministro della salute ha reso noto che nel 2006 questo numero aumenterà e arriverà a 1500 al mese. Si decide di abortire in casa per molti e comprensibili motivi. Perché non si ha voglia di recarsi in ospedale, parlare con i medici e gli infermieri, incontrare estranei, spiegare, raccontare. Non si vuole affrontare un’operazione chirurgica per quanto semplice. Non si vuole stare in una stanza d’ospedale. Si vuole che l’aborto rimanga un fatto privato, intimo, un problema doloroso da condividere col partner, con un’amica, o con una persona cara. Possiamo immaginare le obiezioni che una simile pratica incontrerebbe in Italia. Tutte quelle che l’introduzione della pillola Ru486 ha già incontrato. Ci sarebbe sicuramente l’opposizione di chi, ritenendo l’aborto una colpa delle donne, pensa sia giusto che esse paghino almeno il prezzo di un’operazione chirurgica, provino la vergogna, affrontino la burocrazia e la lentezza delle strutture ospedaliere. Si scontrino con i medici obiettori che sono la stragrande maggioranza. Ma ci sarebbe anche un’altra obiezione. Si parlerebbe probabilmente del pericolo di introdurre di nuovo l’aborto clandestino, che, peraltro, soprattutto nelle regioni meridionali è ancora praticato. Ma non è così. L’aborto fra le mura domestiche in Francia è medicalmente controllato e prevede cinque fasi. La donna parla con il medico, dà il suo consenso scritto, prende una compressa per bloccare l’ormone necessario a mantenere la gravidanza, poi ne prende un’altra per provocare l’espulsione dell’ovulo, infine verifica in un altro appuntamento con il medico che l’interruzione di gravidanza ci sia effettivamente stata. Il tutto, secondo la legge, deve avvenire entro le prime sette settimane. Dopo è consigliabile il ricovero in ospedale. […]
Il testo integrale dell’articolo di Ritanna Armeni è stato pubblicato sul sito di Liberazione