Riflessioni. L’equazione Occidente – cristianità è pericolosa: respingerlo significa recuperare il senso della concezione illuministica e porre le basi per un confronto con il resto del mondo. Nel quinto anniversario dell’attacco alle torri gemelle, tra le celebrazioni variamente retoriche, i distinguo e le analisi, il grande tema sembra, di nuovo, quello del dialogo con l’Islam e del rapporto tra civiltà e, di conseguenza, quello dell’identità dell’Occidente che è chiamato al dialogo ma che, prima di dialogare, dovrà pur sapere chi è, almeno per superare l’imbarazzo delle presentazioni. […] Questa logica binaria, che viene adottata in modo sostanzialmente omologo un po’ da tutti, siano presi a bandire crociate o a giustificare, quando non a sottoscrivere, ogni azione dei resistenti o insorti che dir si voglia, sembra a sua volta sottendere due presupposti: che l’Occidente sia un monolite al cui centro si trova la tradizione giudaico-cristiana, e che tutto il resto del mondo si definisca unicamente in base ad esso o in reazione alle sue attività. In realtà, a ben vedere, tutto questo monolitismo non c’è da nessuna parte, e le nostre società e culture sono decisamente più composite. Non solo perché oltre alle radici cristiane ce ne sono altre (la cultura greca, il diritto romano, gli scambi commerciali e culturali con l’Oriente, l’integrazione con il mondo islamico, la struttura sociale dei cosiddetti barbari germanici), ma soprattutto perché queste radici, in fin dei conti, tendono ad essere un po’ sopravvalutate. […] E’ più opportuno parlare di modernità che di Occidente: una forma di organizzazione economica e sociale, di rappresentanza politica e di rappresentazione culturale che è certamente nata in Europa e in America settentrionale, e che pone al suo fondamento degli eventi storici chiaramente dirimenti nella storia di questi continenti (le scoperte geografiche, la rivoluzione scientifica, la riforma protestante, e poi le guerre di religione con la conseguente pace di Westfalia, la rivoluzione americana e quella francese, l’industrializzazione, il suffragio universale, le lotte operaie e avanti così), ma che è in grado di farsi udire anche in altre lingue e in altri luoghi, come dimostra egregiamente il caso dell’Asia orientale. È chiaro che si tratta di cosa poco gradita ai preti di ogni tonaca e colore, che hanno visto una drastica riduzione del loro potere in ogni fase di sviluppo di questa modernità, e che oggi riprendono una sorta di iniziativa congiunta, con i preti cristiani che attaccano la teoria dell’evoluzione mentre deprecano l’impoverimento spirituale delle terre occidentali e i preti islamici che, in nome della difesa della loro identità armano i bombaroli suicidi e reprimono le donne; dovrebbe anche essere chiaro che, mentre difendiamo le nostre conquiste da questa offensiva clericale, e anzi cerchiamo di espandere alcuni confini fondamentali del libero vivere civile, come il nuovo stato dei rapporti di coppia e dei nuclei famigliari, non possiamo lasciare il vessillo identitario nelle mani di chi, con questo vessillo, cerca di avvilupparci da capo a piedi. Fuor di metafora, non è accettabile in nessun modo, e in nessun contesto, l’equazione tra religione e contenuto spirituale, o l’accusa di fomentare il conflitto quando si mette da parte la trascendenza o, peggio ancora, la profezia di sventura di un Occidente indebolito dalla mancanza di referenti, tanto cara a tanta parte della destra mondiale. Se c’è qualcosa che la storia di questa parte di mondo mostra, è che si può benissimo campare senza Dio, che può esservi una morale civile atea, che la conoscenza progredisce bene lo stesso, se non addirittura meglio, e che, se necessario, si possono anche fare rivoluzioni e vincere guerre, solo che si tende a essere un po’ meno pronti a saltare alla gola degli infedeli. Da questo punto di vista, la modernità, che si porta dietro un bel po’ di colpe e di difetti, ma che per lo meno è capace di elaborare uno spazio concettuale e pratico in cui criticarli, è chiaramente contrapposta a qualsiasi forma di fondamentalismo, cristiano, islamico o Hare Krishna che sia. Ciò non significa, naturalmente, che le religioni non siano compatibili con il discorso della modernità, ma solo che deve essere chiaro che, nella sfera pubblica, che va dalla rappresentanza politica alla ricerca scientifica, dalla cultura condivisa e insegnata nelle scuole ai requisiti di accesso alla cittadinanza e alle prestazioni sociali, la religione deve fare un passo indietro ogni volta che si confronta con altre istanze legittime. Ciò può generare conflitti con visioni del mondo diverse, e può portare a lacerazioni violente: lo sappiamo, e del resto la nostra storia è piena di esempi in questo senso; i conflitti vanno prevenuti e le lacerazioni evitate, ma non a prezzo della riapertura di un dialogo tra clericalismi che ci farebbe perdere molto di più di quanto potrebbe farci guadagnare.
Il testo integrale dell’articolo di Nane Cantatore è stato pubblicato sul sito di AprileOnLine
Ottimo articolo, sono completamente d’accordo, mi sembra moderato ma senza aperture ai teocon e ai clericali. Inoltre lo trovo corretto e non fazioso dal punto di vista storico, cosa non affatto disprezzabile visto il livello della stampa italiana. Bravo Cantatore!
Giustissimo, è incredibile che si un giornalista italiano (sia pure via web) ad averlo scritto! Devo proprio mettere Aprileonline tra i preferiti di internet expl!
Oriana Fallaci: “La sintonia con Benedetto XVI sull’islam ‘laico'”
di Massimo Introvigne (il Giornale, 17 settembre 2006)
Vi è qualche cosa di fortemente simbolico nel fatto che nella stessa settimana in cui scompare Oriana Fallaci il Papa Benedetto XVI abbia pronunciato a Regensburg parole particolarmente chiare in tema di islam che alla coraggiosa giornalista sarebbero certamente piaciute. Per rendere il giusto omaggio al lascito culturale di Oriana Fallaci – che lei per prima non avrebbe voluto vedere travisato – e nello stesso tempo per assicurarsi di avere capito bene le parole del Papa non è però inopportuno riflettere su che cosa univa e che cosa divideva quanto Oriana e il Pontefice pensavano dell’islam.
Il Papa e la giornalista si erano incontrati il 27 agosto 2005. Di quell’incontro Benedetto XVI non ha mai parlato. Ma Oriana sì, sia in privato a esponenti del mondo culturale neo-conservatore americano, sia in pubblico in uno dei suoi rari discorsi, tenuto a New York il 28 novembre 2005. La sua ricostruzione appare assai credibile. Benedetto XVI e Oriana Fallaci erano d’accordo sul fatto che fosse in atto una vera guerra mondiale dichiarata dall’ultra-fondamentalismo islamico all’Occidente, e che il mondo occidentale – ma soprattutto l’Europa – si rifiutasse di vederla per quieto vivere, stanchezza, interessi, affari. Entrambi concordavano che da questo torpore l’Europa andasse svegliata.
Per svegliare i dormienti era necessario ricordare che purtroppo una nozione di Dio e dell’uomo che rischia di giustificare la violenza contro l’infedele non sta in una «interpretazione deviata» o in uno «scisma» dell’islam ma nel cuore stesso della tradizione islamica originaria, nel Corano, nella vita e nell’insegnamento del profeta Muhammad. Ma, se l’islam delle origini – e tanto più la sua forma dominante dopo il ripudio della filosofia greca nel XIII secolo – né è una «religione di pace», né porta in sé quell’equilibrio di fede e ragione che solo garantisce contro la violenza, se ne deve concludere che il dialogo tra Occidente e islam è impossibile? Oriana spiegò a New York che su questo punto nel colloquio con il Papa era emerso un dissenso. Per la giornalista il dialogo era una perdita di tempo. Per il Papa trovare una parte dell’islam disposta a ripensare in modo innovativo la sua tradizione e a riannodare il dialogo tra fede e ragione era, sebbene molto difficile, non impossibile.
Né il Papa né Oriana coltivavano illusioni sull’islam «laico» (un fenomeno di pochi intellettuali), ed entrambi diffidavano dell’uso come slogan dell’espressione «islam moderato». E tuttavia che all’interno dell’islam ci siano movimenti, correnti e perfino uomini politici e sovrani disposti a tentare una reinterpretazione della dottrina musulmana che non ceda semplicemente alla modernità ma ritorni all’incontro fra islam e filosofia dei primi secoli del secondo millennio e si apra ai diritti della democrazia, delle donne, delle minoranze religiose, per il Papa era un punto di partenza per sperare, contro ogni speranza, che lo scontro finale con l’islam fosse evitabile. Non tramite il dialogo fasullo e buonista che falsifica la storia e la dottrina, ma cercando con la pazienza secolare della Chiesa interlocutori disponibili a pensare l’islam in modo nuovo.
L’alternativa a questo dialogo non potrebbe essere che il passaggio della nuova guerra mondiale dal campo del terrorismo a quello dello scontro fra gli Stati: magari nucleare, come sogna Ahmadinejad. Per evitare questa Apocalisse lo sforzo del Papa perché alla fermezza si accompagni la ricerca del dialogo non è solo comprensibile, ma obbligatorio.
Finalmente si legge anche un articolo ben fatto. Bravo Cantatore.
@ Germano: perchè riposti qui quell’articolo de “Il Giornale” segnalato in un’altra news?
non me n’ero accorto, ho sbagliato