È difficile parlare astrattamente di vita di fronte a un caso personale, di fronte al dolore vero di una persona vera, che chiede di finirla. Eppure incontrando un uomo che sta per suicidarsi buttandosi da un ponte, qualunque passante interverrebbe; cercherebbe di impedirglielo anche con la forza, e si sentirebbe in colpa se non lo facesse. Un aspirante suicida ha certamente ragioni gravissime e disperate per voler morire, e queste ragioni il passante non può nemmeno conoscerle e valutarle: il gesto di impedire la morte è istintivo, […] Perché, allora, di fronte a chi chiede di staccare la spina ci sentiamo diversamente disposti, rispetto a chi sta per spararsi un colpo di pistola alla tempia? Perché ci sembra che il sentimento di fratellanza, il rispetto per la comune qualità umana, ci debba portare ad aiutarlo ad andarsene piuttosto che a restare? Perché dare la morte con un atto medico ci sembra differente che dare una spinta all’uomo che sta per scavalcare di sua volontà la balaustra di un ponte? Eliminare dall’esistenza il male, il dolore, è impossibile. Nessun essere umano vuole l’infelicità, ma ogni volta che gli uomini hanno tentato di organizzare un mondo senza ingiustizie e senza imperfezioni, seguendo i grandi progetti utopici, hanno prodotto orribili distopie realizzate, società più crudeli e più ingiuste . […] Non c’è bisogno di credere in Dio per pensare questo, basta credere negli uomini. Introdurre nella nostra legislazione la morte assistita vuol dire creare una cultura dell’abbandono, della deresponsabilizzazione, in cui la sofferenza è affare privato che si deve affidare esclusivamente ai medici. Welby parla di «morte opportuna», ma chi deciderà, al di là del suo caso, quando la morte è opportuna? Se la morte è opportuna per lui che è perfettamente cosciente e ritiene la propria una vita senza qualità perché il suo corpo è martoriato dalla malattia, lo sarà a maggior ragione per chi ha una vita di minore «qualità»: chi non è cosciente, chi non ha mai goduto del vento tra i capelli o di una passeggiata notturna con un amico. L’idea di libera scelta è fragilissima, ambigua e oscillante, […] Anche Terri Schiavo, secondo i giudici americani, è morta per sua libera scelta, avendo espresso una volta davanti al marito il desiderio di non continuare a vivere se fosse rimasta in coma. Quanti, una volta messi di fronte alla concreta realtà della propria morte, cambiano idea e magari non sono più in grado di comunicarlo, e quanti, all’opposto, scelgono di morire solo perché depressi, bisognosi, privi del calore degli affetti? […] Condividere il dolore degli altri è pesante, sarebbe più facile toglierlo dalla scena, ma attraversare e farsi carico della sofferenza propria e altrui dà qualità alla nostra vita, […]
Ma la morte non può essere una scelta
7 commenti
Commenti chiusi.
“Perché, allora, di fronte a chi chiede di staccare la spina ci sentiamo diversamente disposti, rispetto a chi sta per spararsi un colpo di pistola alla tempia? Perché ci sembra che il sentimento di fratellanza, il rispetto per la comune qualità umana, ci debba portare ad aiutarlo ad andarsene piuttosto che a restare?”
Si è risposto da solo. Quando guardiamo una persona che cerca di buttarsi dal ponte non sappiamo nulla riguardo le cause che lo spingono a farla finita. Guardiamo una persona sana che, per quanto ne sappiamo, decide di porre fine alla sua vita per problemi magari risolvibili. Quando guardiamo un malato terminale (un malato per distrofia muscolare per esempio) in uno stadio avanzato della malattia, malattia degenerativa, le cose cambiano un po’. Possiamo già comprendere, anche se solo immaginare, i motivi che lo spingono a fare una scelta estrema, non facile e in più a freddo (a differenza di quello che si getta dal ponte).
Nel testo integrale l’autore dice questo:
“Condividere il dolore degli altri è pesante, sarebbe più facile toglierlo dalla scena, ma attraversare e farsi carico della sofferenza propria e altrui dà qualità alla nostra vita, in modo diverso dalla felicità di sentire il vento tra i capelli; ma non in misura inferiore.”
Suona molto come una necessità di scaricare la nostra coscienza più che fare il vero bene per la persona che chiede l’eutanasia: “Qualità della NOSTRA vita”???
Quando ci renderemo conto che consentire una morte rapida e indolore a queste persone è un’atto di pietà e civiltà nei loro confronti, oltre che un diritto dovuto in uno stato laico?
Non mi sento di far vivere una persona che soffre e non ce la fa, non ne ho il diritto e non mi sembra giusto. I dubbi che ho li elenco in breve:
1. Vorrei esser sicuro che un domani non mi farebbero l’eutanasia per prendersi la mia eredità (magari forti della mia dichiaazione di accettazione dell’eutanasia stessa in caso di grave malattia ed impossibilità a chiederla da solo) anche se per me vi fosse un minimo di speranza di guarire.
2 Non vorrei ne approfittassero per far fuori i vecchi – dato che non posso vivere per pagare così tante pensioni – e gli handicappati – che costano – un pò con quella compassione che ebbero i nazisti, prima che l’opinione pubblica fermasse l’eliminazione di tutti gli inabili.
Sul punto 1 devi avere una vera e propria cattiva opinione di te se pensi che qualcuno possa farlo. Sul punto 2 non credo che l’eutanasia posdssano altri deciderla per te.
Comunuqe oggi ho letto quello che ha risposto il cardinale Tonini: la lettera di Welbi al presidente è inutilòe perchè in Italia non c’è la pena di morte. Direi che di fronte a Hitler che tu hai citato Tonini fa tre baffi.
Sul punto 1, mettiamo pue abbia una cattva opinione di me. Vorrei avere qualche garanzia, spero me la daranno. Sul punto 2, lo spero: ma credo ci proveranno. Tonini ed Hitler…la stessa cosa….vabbé.
Questa volta sono d’accordo con Germano. Detto, come al solito, che Tonini a nome del clero ancora una volta si nasconde dietro dei legalismi (peraltro insostenibili) per imporre la morale cattolica (la vita e di dio) a credenti e non (molto poca fiducia anche nei credenti!), secondo me l’eutanasia e’ un diritto che dovrebbe essere inalienabile, ma bisogna stare MOLTO attenti a non fare una legge che consenta in qualche modo l’omicidio. Le legislazioni dei paesi citati da Welby sono molto rigorose in merito.
Quanto al discorso dell’articolo, lo trovo molto capzioso (strano, data la fonte…)
Come si fa a paragonare un suicidio, peraltro tentato in pubblico – e non ci vuole una laurea in psicologia per intuire che in 9 casi su dieci un gesto del genere e’ un grido di aiuto, non la volonta’ di morire – con la richiesta di eutanasia di una persona che ritiene, meditatamente, con sofferenza, che la propria esistenza non valga piu’ la pena di essere vissuta perche’ priva anche di un minimo di dignita’, di felicita’, perfino di scambio umano?
Davanti a casi come questi, bisognerebbe almeno avere la decenza di tacere, secondo me. Strumentalizzarli in questo modo e’ semplicemente disgustoso.
Ci mancava pure il parere di Tonini, adesso, in ogni caso si deve decidere di introdurre l’eutanasia, non capisco perche’ debba essere un altro a decidere della mia vita,in ogni caso con l’idea di introdurre il testamento biologico,si puo’ risolvere il problema, di eventuali abusi da parte di parenti,mentre mi sembrano assurdi i timori di rievocare fantasmi hitleriani, in Olanda e in belgio c’e’ l’eutanasia, e non ho avuto notizia di riaperture di campi di concentramento, sono solo i ridicoli pretesti di chi vuole imporre le sue leggi religiose a tutti invece di tenersele per se stesso
…vabbé: io avanzo “ridicoli pretesti”. Ma li avanzo.