Nessuna autorità può avallare la «dolce morte»

Che Piergiorgio Welby abbia pensato di rivolgersi direttamente al capo dello Stato per chiedere l’eutanasia è molto istruttivo. Involontariamente, il co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni ci mette di fronte al problema più grave, e oggettivamente insormontabile, di ogni discorso sulla «dolce morte»: a chi spetti decidere chi, come, dove e quando si possa uccidere per motivi pietosi. L’idea della lettera al Quirinale risponde alla strategia tipicamente radicale di sollevare il massimo clamore intorno ai temi dei cosiddetti «diritti civili». C’era inoltre la studiata aspettativa che, essendo Napolitano il prodotto del pensiero marxista, oltre che un autorevole esponente del postcomunismo relativista, il presidente avrebbe risposto in maniera non ostile. Attesa che, infatti, non è andata delusa. Del resto, chi potrebbe scrivere in modo scortese a una persona nelle condizioni di Welby? Ci sarebbe molto da ridire su questo uso cinico e spregiudicato della sofferenza, questa strumentalizzazione della persona umana.L’altro giorno Capezzone da Radio Radicale spiegava che «Welby usa la sua malattia come arma di lotta politica».Complimenti. Ma l’aspetto giuridicamente più interessante sta proprio nella formula della petizione alla massima carica dello Stato. È qualcosa di molto simile alla richiesta di grazia, che un detenuto inoltra sperando di ottenere la cancellazione della sua pena. Ora, però, nel caso di Welby è come se i radicali volessero inventarsi un diritto del capo dello Stato non alla grazia, ma al «colpo di grazia». Per un momento, i democratici e tolleranti volterriani tradiscono quasi la nostalgia per i bei tempi andati dell’Ancien Régime,quando il sovrano assoluto poteva disporre del destino fisico dei suoi sudditi. […] conoscono il principio giuridico elementare, in base al quale la vita di ogni persona umana è indisponibile per sé e per gli altri, e nemmeno l’uomo più importante del potere costituito potrebbe valicare questo confine. Allora – si ribatte – è semplice: affidiamo il diritto di decidere se vivere o morire a ogni singola persona. […] il caso-Welby, come qualsiasi altra dolorosa vicenda analoga, dimostra che la domanda di morte espressa da un uomo si scontra con la necessità per il potere costituito di stabilire dei criteri. […] In queste ore, un malato scrive al presidente che vuole vivere, un altro che vuole morire; ma da queste due richieste non si può desumere alcuna indicazione normativa. Perché? Per il semplice fatto che la legge non consiste nella mera ricezione della volontà del singolo, ma anzi essa è chiamata quasi sempre a contrapporvisi,per decidere nel senso di un bene oggettivo, che travalica il punto di vista del singolo. Ecco perché nessuno, nemmeno un re o il presidente di una nazione, hanno nel fascio dei loro poteri l’autorità per decidere che un innocente sia ucciso, seppure con il suo consenso.

L’articolo di Mario Palmaro è apparso sul sito del Giornale

9 commenti

Umberto

Un microcefalo come questo non può scrivere che sul “Giornale”, superfluo ogni commento.

Francesco M.Palmieri

A proposito di uso “cinico e spregiudicato” della sofferenza, come la mettiamo con i telegiornali che per fare da contraltare alla richiesta di Welby hanno “intervistato” molti malati nelle sue medesime condizioni, raccogliendo – tramite interpreti, computers e quant’altro – dichiarzioni di rifiuto dell’eutanasia o di pratiche analoghe da parte degli interessati, quasi facendo capire che se passasse una regolamentazione del genere gli stessi fossero in imminente pericolo di vita.
So che è parlare ai sordi, E CHE SORDI, qui non si tratta di obblighi, ma di facoltà da accordare a chi liberamente e coscentemente decide di farvi ricorso, e a cui nessuno dovrebbe permettersi di porre un veto.
I peggiori aguzzini non sono quelli che ti condannano a morte, ma quelli che ti condannano ad una vita peggiore della morte e in un delirio di ipocirsia, indossano pure l’aureola della santità.

Alberto

Per me la soluzione è molto semplice, non è di natura religiosa ne politica.
La legge dovrebbe riportare che chiunque, prima di essere attaccato ad una macchina che lo fa vivere come un vegetale, DEVE autorizzare i medici. Altrimenti morirebbe di morte naturale, eventualmente con l’ausilio di farmaci anti dolore.

Silvia

“la legge non consiste nella mera ricezione della volontà del singolo, ma anzi essa è chiamata quasi sempre a contrapporvisi,per decidere nel senso di un bene oggettivo, che travalica il punto di vista del singolo”
Che bene oggettivo può esserci nel costringere una persona malata che non vuole vivere a sopravvivere a se stessa?
Se proprio vogliamo essere logici e razionali, il bene oggettivo sarebbe proprio il contrario!!!

archibald.tuttle

“la legge non consiste nella mera ricezione della volontà del singolo, ma anzi essa è chiamata quasi sempre a contrapporvisi,per decidere nel senso di un bene oggettivo, che travalica il punto di vista del singolo”

e’ chiaro. al giornale sono diventati comunisti.

netzer

Questo qui pensa che Welby chieda di morire solo per far passare una legge?? Cerco sempre di moderare i termini e di non offendere ma con questo qui mi riesce veramente difficile!
E’ una manovra dei Radicali. E’ stato il diabolico Capezzone a ridurre Welby in quello stato e questo poveraccio si è immolato alla causa politica. Cinico e spregiudicato!
Peccato che non si possa condannare il Sig. Palmaro a 4-5000 ore di servizio di assistenza ai malati terminali.

Paul

Se parliamo di cose oggettive……cosa c’entrano i clericali!!???!?!?!?! 🙂 Se non volete l’eutanasia non praticatela a voi stessi e bastaaaaaaaaaaa!!!!!!!!

Commenti chiusi.