Se in questo momento è impossibile non partire dal caso Welby per discutere di eutanasia, è forse però doveroso spostare il dibattito su un altro piano. […] La questione è se possa essere morale e legalmente ammissibile richiedere la buona morte. Dal punto di vista morale è sufficiente richiamare la libertà individuale come base per giustificare anche la libertà di morire. Libertà individuale che è (e deve essere) un valore tanto fondamentale da richiedere ragioni gravi e forti per giustificarne la limitazione. Libertà individuale che si oppone fermamente al paternalismo e alla pretesa da parte degli altri di giudicare quale sia il nostro bene. Ogni persona può decidere di rifiutare trattamenti medici anche se questo rifiuto comporta il rischio o la certezza della morte. Ogni persona in grado di intendere e di volere può, dunque, non solo rifiutare ogni forma di accanimento terapeutico, ma anche rifiutare una terapia che gli salverebbe la vita. Questa possibilità, oltre ad essere moralmente giusta, è legalmente riconosciuta e protetta. E dal dominio morale si scivola quasi impercettibilmente in quello legale. Nessun medico può decidere al posto del paziente, nessun medico può costringerlo ad assumere delle pillole e soprattutto nessuno può imporgli di vivere. […] La morte qualche volta non è la cosa peggiore che possa capitarci. Condannare chi rifiuta di sopravvivere è un modo ipocrita di sottrarsi alla responsabilità personale. E non sarebbe possibile concludere meglio di quanto abbia fatto Welby: “Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui. Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’ – io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico”.
Il testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica
Mia nonna, cattolica praticante, malata terminale di tumore, negli ultimi giorni della sua malattia, vissuti tra dolori lancinanti, chiedeva di morire. Se avessi potuto, l’avrei aiutata io stessa ad andarsene, ma non ho potuto, perché da qualche parte c’è ancora qualcuno che ci va dicendo che l’uomo nasce col peccato e che il dolore serve ad espiare le nostre colpe. Quando riusciremo a liberarci di questa concezione medievale che rende l’uomo mai perfettamente padrone della propria vita (e della propria morte)?