Da due anni la scuola è tutta per loro. I bambini italiani non la frequentano più e a Villanova Marchesana, paese della provincia di Rovigo dove abitano 1.200 persone, sono rimasti solo i bambini rom: diciannove alunni; due pluriclassi, una di prima, seconda e terza elementare, l’altra di quarta e quinta. Un ‘ghetto’ da chiudere secondo l’Opera Nomadi di Rovigo; una scuola che funziona regolarmente secondo l’amministrazione comunale. […] I genitori dei ragazzini italiani hanno deciso di iscrivere i propri figli nelle scuole dei paesi vicini. Motivo: il fatto che gli alunni stranieri (quasi tutti kosovari) impedirebbero il regolare svolgimento dell’attività didattica. Parlano male l’italiano, l’apprendimento è più lento e quindi l’andamento della classe ne risente. “Non è un problema razzistico – sostiene il sindaco Ilario Pizzi, eletto con una lista civica di cui non dichiara l’orientamento – il punto è un altro: se i genitori hanno dubbi sulla formazione scolastica dei propri figli in una certa scuola li portano da un’altra parte. I genitori si sono sentiti preoccupati e hanno fatto una scelta”. […] in questa ultima direzione si muove il progetto de l’Opera Nomadi, che vorrebbe chiudere la scuola di Villanova Marchesana e portare i ragazzi rom a Crespino, un paese nei dintorni dove esistono classi multiculturali. Gli alunni sarebbero divisi in piccoli gruppi e inseriti nelle classi adatte (uno o due per classe). “Il progetto che abbiamo presentato al sindaco e al prefetto, è quello di ridistribuire nelle scuole vicine questi bambini – spiega Costa – ma il sindaco ha detto che preferisce tenere aperta la scuola di Villanova”. Secondo Pizzi si tratta di “garantire un servizio ai cittadini, tutelare l’identità locale e limitare i costi economici”, ma vanno considerate anche la riconoscenza e l’ammirazione per gli insegnanti che hanno deciso di rimanere a Villanova. E a chi gli parla di scuola-ghetto risponde: “È vero che lì ci stanno solo bambini rom, ma è sbagliato dividere i bambini in quattro o cinque gruppi e portarli in altre scuole; sono più isolati mettendoli qua e là dove gli insegnanti non li possono seguire. Non possono essere inseriti in classi con programmi e metodi rivolti a bambini italiani, serve una didattica adeguata ai loro tempi di apprendimento altrimenti si stancano e abbandonano la scuola”. Perciò l’idea è di fargli frequentare le lezioni in altre scuole due o tre volte alla settimana. Una sorta di integrazione progressiva che secondo il progetto del Comune e dell’istituto comprensivo di Polesella, (costo 15 mila euro), presentato alla Dirigenza scolastica regionale, dovrebbe cominciare a tre anni. […] Un modello di integrazione che non convince però l’Opera Nomadi. “Servirebbero interventi precisi di integrazione sociale – precisa il presidente dell’associazione – senza mediatori culturali e sostegni alle famiglie si rischia l’apartheid. Il Polesine ha 250 mila abitanti su questi 10. mila sono immigrati e circa 300 sono rom che vivono emarginati, anche se stanno qua da quindici anni e lavorano in fabbrica o nelle cooperative. È un problema politico”. “La polemica è politica – afferma Pizzi – a cominciare dall’accusa di razzismo. In ogni caso ho proposto di aprire un tavolo di discussione, ci confronteremo per vedere se la nostra può essere una soluzione o se dovremo trovarne altre”.
Rovigo, “Iscriviamo i nostri figli altrove” La scuola si spacca sui bimbi rom
2 commenti
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Ma questa notizia cosa c’entra con le questioni religiose?
c’entra con il bigottismo e il razzismo di una parte della società che ghettizza dei bambini costringendoli a frequentare una scuola di fatto “differenziale”.
a quando una scuola solo per figli di immigrati, e una solo per figli di separati o di gente a basso reddito?
perchè questa è la logica conseguenza del creare scuole ghetto……