Una carta per difenderci dai medici onnipotenti

Ma c’è davvero bisogno di quel pezzo di carta, di un testamento biologico che ci difenda dai medici? È proprio necessario chiedere ai medici il permesso di morire? O non è piuttosto una conseguenza dell’idea che i medici possono impedirci di morire, tenendoci in vita a ogni costo (chi sa poi per quali scopi)? E se i medici, o almeno molti di loro, negli ultimi anni hanno fatto di tutto per farsi credere demiurghi onnipotenti, la realtà è ben diversa: gli esseri umani continuano a morire di malattie incurabili, con tempi lunghi e sofferenza, e magari in situazioni di degrado e di abbandono. Ma non è certo il testamento biologico che può impedire queste situazioni, le quali possono invece essere alleviate da una buona assistenza sanitaria e da cure palliative del dolore. Ben venga allora il dibattito scatenato dal caso Welby, se porterà a un miglioramento della penosa situazione italiana in proposito. Un pezzo di carta che ci difenda dai medici non esimerà ancora di più i medici dal praticare quel dialogo con il paziente (e/o i suoi familiari) così necessario per prendere decisioni di cura in situazioni gravi? In fondo sono solo i medici, e non i giudici, che possono dire se una terapia sia accanimento o tentativo di salvezza, e c’è il sospetto che in molti casi sarà solo il tempo, con la guarigione o la morte del malato, a rispondere. È necessario allora riflettere sulla professione medica e sul ruolo del medico, negli ultimi anni sempre più appiattitosi su quello tecnico. Questi applica protocolli su un corpo malato che – sostiene la storica tedesca Barbara Duden – si è così decorporeizzato da essere immaginato, dai malati stessi, come “un sistema immunitario” da studiarsi con metodi matematici, piuttosto che una persona in carne e ossa. Ogni persona, ogni malato è un caso a parte, e non un numero di ipotesi statistiche da verificare. […] Se avessimo il coraggio – e l’aiuto di una vera assistenza medica domiciliare – di accompagnare alla morte chi vi si avvicina, molti morirebbero a casa, circondati da persone e oggetti familiari. Morire così oggi è divenuto un grande privilegio dei ricchi, che si possono permettere case grandi, assistenza infermieristica e medica. Nella maggioranza delle famiglie, che vive in piccoli appartamenti e dove tutti lavorano, una malattia che richiede assistenza continua diventa insostenibile: ecco allora l’ospedale e le cure spesso eccessive. Un pezzo di carta non cancella questa disuguaglianza, né rimuove la vergogna di un Paese ricco come il nostro in cui spesso gli ospedali sono tetri o indecenti, e medici e infermieri si disinteressano della sofferenza dei morenti: di questo dobbiamo essere ben consapevoli mentre si dibatte di testamento biologico.

Fonte: Avvenire.it

6 commenti

Paolo

ah, caspita, lo dice Barbara Duden? beh allora cambia tutto…

Umberto

Confermo quanto ho detto per “il giornale” e per “libero”, i giornalisti li allevano in batteria per educarli a dire scemenze.

Francesca

E soprattutto, che ne sa una storica di medici e medicina?

Carlo

Eeeh, che nostalgia dei bei tempi del medico condotto, quando con una polmonite si moriva :). Ma io dico, se l’autore dell’articolo vuole vivere nel medioevo, si costruisca la sua comunita’, senza medici, ricercatori, elettricita’, televisione e altri prodotti diabolici della modernita’. E stampino l’avvenire con la pressa a mano, consegnandolo con corriere a cavallo, anzi no ad asino, forse e’ piu’ appropriato.

Silvia Viterbo

Molti ginecologi sono “obiettori di coscienza” e fermamente antiabortisti, tant’è che anche solo farsi prescrivere la c.d. pillola del giorno dopo è spesso un’impresa. Se la maggioranza dei medici continua a professarsi cattolica, sarà difficile che la legge sul testamento biologico, quand’anche venisse approvata, possa poi essere pacificamente applicata, come avviene già per la 194

Commenti chiusi.