Dopo i violenti attacchi degli estremisti di destra indù, che hanno complicato di molto la lavorazione, esce il 6 ottobre anche in Italia “Water”. Il film della regista indiana, ma canadese di adozione, Deepa Metha fa parte di una trilogia che comprende anche Earth, dedicato alla religione, e Fire, sulla sessualità. Questa volta la filmmaker, dichiarata “nemica giurata” dai gruppi fondamentalisti indiani, ha voluto raccontare la condizione delle vedove che nel suo paese sono costrette a vivere in completa penitenza negli ashram, una sorta di casa comune. “Water” si svolge nel ’38, proprio l’anno in cui Gandhi (di cui ricorrono i 100 anni dalla nascita) viene scarcerato dagli inglesi e inizia il suo viaggio per promuovere la coscienza di un popolo in cerca della libertà. E ultime tra gli ultimi ci sono proprio le donne. «Oggi c’è una legge che permette di risposarsi» ha dichiarato la regista, presente a Roma per il lancio della pellicola, eppure nell’ultimo censimento del 2001 si contano ancora 34 milioni di vedove, delle quali 12 vivono in condizioni di segregazione. «Un retaggio culturale difficile da combattere» ricorda Metha, ma anche «una questione meramente economica e quindi tanto più inaccettabile perché giustificata in nome della religione». Sullo schermo la questione viene letta attraverso gli occhi di Chuya, una delle tantissime spose bambine, restata vedova quasi senza rendersene conto e costretta così a vivere reclusa per la vita. Con la sua ingenuità e la sua franchezza mette in ridicolo un modo di pensare ingiusto e arcaico. […]
Il testo integrale della recensione di Pasquale Colizzi è stato pubblicato sul sito dell’Unità
io ho visto parti di questo film perchè sono andata alla conferenza stampa di presentazione organizzata da amnesty alla casa del cinema. per quel che vale la mia opinione, se avete tempo andatelo a vedere.