Vita ascetica dell’antica Grecia

Sfumano nella leggenda i contorni della figura di Orfeo, mitico musico della Tracia e fondatore di quel movimento iniziatico, l’orfismo appunto, assai diffuso in Grecia a partire dall’età arcaica. La fortuna del personaggio – noto per la partecipazione alla spedizione degli Argonauti a caccia del vello d’oro, ma più ancora per la sua discesa agli inferi per riportare in vita la sposa Euridice – fu enorme nelle arti antiche e moderne. Quanto all’orfismo, è uno dei temi più complessi della storia della filosofia e della religione antica. Già nel VI e V secolo a.C. circolava un cospicuo numero di scritti orfici, poemi in esametri dattilici attribuiti a Orfeo (e a Museo, cantore altrettanto leggendario). I riferimenti sono numerosi in vari autori dell’età classica, che trattano l’orfismo con venerazione oppure lo bollano di ciarlataneria, rispecchiando contrastanti atteggiamenti diffusi nella società. In mancanza di buone fonti antiche, il papiro di Derveni assume un’importanza enorme: i testi di poesia orfica che ci sono pervenuti sono più tardi di vari secoli e identificare le credenze e le pratiche proprie del più antico ascetismo orfico è un problema inestricabile. La ricerca tende oggi a privilegiare gli aspetti comportamentali della cosiddetta «vita orfica», accanto all’insieme di dottrine proprie dell’orfismo. A quanto pare, alla base stava l’idea che l’uomo ha un’anima immortale, temporaneamente imprigionata in un corpo mortale. Per assicurare la salvezza dell’anima bisognava perseguire la purezza con regole di vita pratica (essenziale l’astensione dal mangiare carne), con atti rituali periodici di purificazione e con cerimonie di consacrazione iniziatica. I risvolti potevano essere molteplici: per esempio, le usanze alimentari orfiche impedivano di partecipare ai sacrifici cruenti agli dèi della religione ufficiale, con possibili ripercussioni di carattere socio-politico. Il fatto è che l’iniziato orfico non si accontenta del rapporto con il divino garantito dalla religione e dal culto comune e pubblico, ma aspira a una relazione mistica privilegiata. Una parte importante delle credenze orfiche era poi rappresentata dalla cosmogonia. All’inizio di tutto era Chronos, il tempo, da cui nacquero Etere, Chaos e Erebo, entità che rappresenta il regno dei morti; da Etere e Chaos fu formato un uovo primordiale da cui nacque Phanes, dio ermafrodito della generazione; da Phanes e da Notte provennero le stirpi divine fino a Zeus. A seguito di una violenza incestuosa, Zeus con la figlia Persefone (nata da lui e da Demetra) genera Dioniso: i Titani lo fanno a pezzi e ne mangiano le membra, ma Zeus li distrugge col fulmine e dalle ceneri nascono gli uomini, partecipi di una natura malvagia e titanica e di una natura divina e dionisiaca. E appunto la figura di Dioniso, che rinasce dai suoi resti ricomposti per divenire il dio della futura regalità, gioca un ruolo centrale nell’orfismo, in quanto dottrina misterica in contrasto con la religione olimpica, fondamento della concezione dell’anima, di una ritualità mistica e iniziatica.

Fonte: Manifesto.it