“Sono troppo giovane per il Nobel”, osservava Orhan Pamuk un anno fa nel suo studio affacciato sul Bosforo. Era una domenica di ramadan e stavamo sorseggiando una tazza di tè. Dopotutto lo scrittore turco ha sempre evidenziato il suo ateismo e nell’ultimo libro, Istanbul, scrive: «A casa nessuno mi insegnava la religione. Forse perché non avevano nulla da insegnarmi: non ho mai visto nessun famigliare pregare». Cinquantaquattro anni, Pamuk è spesso irriverente e riferendosi ai contadini immigrati in città scrive che «forse erano rimasti in quelle condizioni per aver creduto tanto in Allah». E gli attacchi agli integralismi non mancano nemmeno nel romanzo «Neve» ambientato in un villaggio. Il Nobel alla letteratura conferito a Pamuk non sarà quindi gradito dai fondamentalisti che non avevano nemmeno apprezzato il premio per la pace all’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi. […]
Il testo integrale dell’articolo di Farian Sabahi è stato pubblicato sul sito di Articolo 21
Non pregare vuol dire essere atei?
No certo. Hai ragione Puk di fatto non ha mai criticato la sua religine, anzi in Neve ne rivendica l’appartenenza.