No all’accanimento terapeutico, ma nessuna giustificazione dell’eutanasia. Scende in campo personalmente don Luigi Verzé, presidente della Fondazione San Raffaele di Milano, per chiarire il suo pensiero sulle cure da prestare ai malati terminali, dopo che una sua intervista – pubblicata venerdì sul «Corriere della Sera» (e titolata «Staccai la spina per lasciar morire un amico») – ha ottenuto il plauso di chi vuole scorgervi una giustificazione nei confronti di pratiche eutanasiche, oltre che una «sponda» nel mondo cattolico a chi sostiene l’assoluta autodeterminazione del paziente. Invano il fondatore del San Raffaele aveva fatto sapere – nel pomeriggio di venerdì, durante l’inaugurazione del decimo anno accademico dell’Università Vita-Salute – di non condividere alcun intervento eutanasico. Da più parti era stato automaticamente iscritto nel «partito» di coloro che – nel dibattito in corso sulle «direttive anticipate» e sulle possibili richieste di eutanasia – chiedono di poter staccare la spina a chi lo richiede. La precisazione di don Verzé arriva con una lettera al direttore di «Avvenire» (che pubblichiamo in questa pagina) che definisce i contorni esatti di un episodio avvenuto circa trent’anni fa e illustra la sua «impostazione dottrinario-mentale». […]
Il testo integrale dell’articolo di Enrico Negrotti è stato pubblicato sul sito di Avvenire
Non è vero che Don Verzè fa marcia indietro , infatti il fondatore del san Raffaele ha detto che lui sarebbe d’accordo di staccare la macchina ad un moribondo che glielo chiedesse per far si che la natura faccia il suo corso , ma che come medico non se la sentirebbe di avvelenare un paziente per sopprimerlo
Credo che la sua sia una posizione comprensibile e coerente con la professione medica che si differenzia da quella veterinaria per il fatto che un medico salva le vite e non le sopprime.
Un conto è staccare la spina e lasciar andare il paziente
un conto è avvelenarlo
Certo se si vuol procedere in questa direzione , cioè dell’eutanasia pura allora occorre che chi è d’accordo parli chiaro senza inquinare le idee di chi è contro l’accanimento terapeutico ed a favore dell’asistenza farmacologica adeguata per eliminare il dolore (trattamento che solitamente accompagna il malato per pochi giorni prima dell’ arresto cardiaco dovuto da un sovraccarico di questi farmaci)
E’ decisamente una morte piu dolce rispetto al suicidio assistito o all’eutanasia.
Ma se ‘staccare la spina’ può anche prolungare l’agonia del malato e il sovraccarico di farmaci provoca infine la morte, direi che il confine tra questa pratica e il suicidio assistito diventa labile… perché non esaudire semplicemente le volontà del paziente?
I medici hanno una più ampia percezione di queste problematiche dei ‘civili’ e la questione della libertà di coscienza mi sembra sia sempre sollevata dai clericali prima che dai professionisti.
mcbertan: mi sfugge la differenza tra “avvelenamento” e “arresto cardiaco in pochi giorni dovuto a sovraccarico di farmaci antidolore”
@mcbertan
i veterinari non uccidono, salvano molte vite. nella mia esperienza inoltre i veterinari sono mediamente molto più gentili ed umani dei medici. e aiutano di più i “familiari” dei pazienti.
se trovassi un medico che sapesse aiutarmi come la mia veterinaria e che mi potesse aiutare a morire me o i miei familiari così come ha aiutato i miei animali quando è giunta la loro ora, farei la firma!
morire è un mio diritto e un medico che mi sappia aiutare in un tale gesto sarebbe un GRANDE medico, che tiene ai suoi pazienti REALI e non ad un concetto vuoto ed astratto.