Gb, aiutò la moglie a morire: è libero

Ammise di aver aiutato la moglie, gravemente ammalata durante il suo terzo tentativo di suicidio. Ora un giudice della Gran Bretagna lo ha scarcerato, concedendogli per un anno il beneficio della sospensione condizionale. È la storia di David March, 58 anni, del Surrey, in carcere per aver aiutato a morire sua moglie Gillian, 59, ammalata dal 1984 di sclerosi multipla. La coppia, secondo quanto riportato dalla Bbc, era sposata dal 1979. La malattia della moglie, aveva costretto March a rinunciare al suo lavoro in pubblicità. L’uomo era diventato allora un giardiniere: un’occupazione che gli permetteva di tornare a casa per dare da mangiare alla compagna. Condannato inizialmente per omicidio, March era stato successivamente accusato di aver favorito il suicidio, reato per cui è prevista una pena massima di 14 anni. Il 19 settembre del 2005, March rientrò a casa come ogni giorno per il pranzo, trovando la moglie con una busta di plastica in testa. Una «prova inequivocabile», secondo la polizia del Surrey, che la donna era determinata a porre fine alla sua esistenza. Si trattava infatti del terzo tentativo di suicidio della donna: nel suo diario la donna aveva più volte manifestato la volontà di farla finita, così da permettere al marito di risposarsi. Quel 19 settembre March non fece altro che stringere meglio i lacci della busta di plastica e tenere la mano della moglie fino all’ultimo respiro. Poi la telefonata al medico. Dopo aver letto la sentenza,il giudice dell’Old Bailey ha sottolineato le «circostanze eccezionali» del caso. Poi si è rivolto direttamente a March affermando: «Lei ha mostrato una devozione disinteressata verso sua moglie». Ma le organizzazioni umanitarie della Gran Bretagna sono divise sulla decisione del giudice. Forti critiche arrivano dal Consiglio britannico dei disabili. «Che genere di messaggio è – si interroga Simone Aspis, uno dei portavoce dell’organizzazione – quello che arriva alla società e che lascia intendere che aiutare un disabile a morire sia un modo di ridargli dignità?»

Fonte: Corriere.it 

Un commento

Stefano

Anche se casi simili vanno visti uno per uno penso che questo signore non abbia fatto assolutamente nulla di male, alla fine non ha fatto altro che assistere una moglie straziata da un male incurabile nel momento in cui ha deciso di terminare la sua esistenza, dimostrando di amarla veramente. Una grande dimostrazione di nobiltà l’ha avuta anche lei che ha compiuto il gesto per aiutare il marito a vivere una vita migliore. Si tratta di comprtamenti che hanno una nobiltà ed un coraggio degni della cultura dell’onore e del rispetto che da secoli esiste in Giappone con il nome di harakiri (ach’esso un suicidio assistito) e che in tale cultura viene ritenuto un nobile gesto. Quel giudice inglese in cuor suo ha riconosciuto la nobiltà del gesto ed ha agito di conseguenza. Coloro che si indignano di fronte ad un caso simile sono persone che nella mente hanno esclusivamente la formula “morte non naturale = omicidio = condanna”. Vorrei che queste persone aprissero la mente e ragionassero attraverso uno spettro più ampio e non in base a quello precostituito di certe fedi religiose.

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