Ieri s’è svolta presso la Corte Costituzionale la prima udienza pubblica sull’incostituzionalità dell’articolo 13 della legge 40/2004. La legge 40 è la tanto discussa legge sulla procreazione assistita. L’articolo 13 vieta, seppure con ampio spazio di interpretazione, la diagnosi sull’embrione prima che questo sia impiantato nel corpo materno. La diagnosi genetica di preimpianto è arrivata davanti alla Suprema Corte in seguito al ricorso di una coppia di Cagliari che aveva chiesto di usufruirne. La coppia, portatrice sana di beta talassemia, aveva in precedenza fatto ricorso ad indagini prenatali, il cui esito infausto aveva determinato la decisione drammatica di abortire. La coppia si affida allora ad un avvocato: con un provvedimento d’urgenza si chiede l’autorizzazione a ricorrere alla diagnosi genetica di preimpianto. Il Giudice di Cagliari si rivolge alla Corte Costituzionale per valutare l’ammissibilità di tale richiesta. La diagnosi prima dell’impianto permetterebbe di conoscere lo stato di salute dell’embrione ad uno stadio molto precoce e, diversamente dall’amniocentesi o dalla villocentesi, eviterebbe la dolorosa scelta tra un aborto terapeutico e il portare avanti la gravidanza di un embrione affetto da una grave malattia. A difesa dell’articolo 13 si erano schierati il Forum della Famiglie e il Comitato Scienza e Vita. La Corte ha giudicato il loro intervento difensivo inammissibile, in quanto non titolari di alcun interesse qualificato. Ma ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, accreditando ancor più una legge vergognosamente ingiusta e discriminatoria. Le motivazioni saranno depositate nei prossimi giorni. Qualunque esse siano, la profonda amarezza non diminuirà.
L’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato oggi su E-Polis
Che tristezza.
E adesso vai con la 194, no?