Si chiama Rassmea, è egiziana, ha ventitré anni, laureata in Scienze politiche alla Statale di Milano, insegna ai suoi connazionali nel doposcuola di un istituto pubblico. Lei, che è un esempio da manuale di integrazione e difesa della cultura d’origine, ha deciso di combattere perché il padre non iscriva la sorellina di quattro anni alla scuola araba di via Ventura: «Sto impegnandomi a fondo, per lei sarebbe una grave penalizzazione. Basta con il tira e molla e con queste prese di posizione prevalentemente politiche. Possibile che nessuno pensi al futuro dei bambini?». La domanda è di attualità in moltissime famiglie arabe, ora che a Milano il ministero della Pubblica istruzione (senza il nulla osta del Comune) ha autorizzato la riapertura di una scuola italo-egiziana i cui programmi (Corano ma non solo) hanno fatto parlare di scuola islamica. Le polemiche sono continue, con la Lega in piazza, il centrodestra sulle barricate e la sinistra che difende la scuola, ma a dare una ventata di aria fresca al dibattito è arrivata una giovane laureata egiziana, […] Il domani che immagina per gli iscritti alla scuola araba è di difficoltà e di emarginazione. Rassmea parla per conoscenza diretta e per aver visto gli effetti della scuola di via Quaranta, l’istituto illegale che è stato chiuso lo scorso anno e che adesso è stato sostituito dalla nuova scuola di via Ventura. «Conosco tre sorelle, mie amiche, che hanno studiato in via Quaranta – racconta Rassmea – e oggi non sono in grado di interloquire con i loro coetanei o di pensare di crearsi una carriera come tutti. Sono praticamente ai margini delle possibilità che avrebbero potuto avere». Un futuro che lei vorrebbe risparmiare alla sorella e alle altre ragazze che saranno costrette a studiare in via Ventura. Rassmea veste all’occidentale, parla un italiano senza inflessioni, legge tutti i quotidiani, ma sono risultati che le sono costati cari: da ragazzina ha studiato al Cairo e quando è arrivata in Italia è stato difficilissimo mettersi alla pari con i compagni. Lei non è contraria di principio alla scuola araba, meno che mai per ragioni politiche, però la ritiene totalmente inadatta a educare chi intende vivere in Italia: «Tutte le scuole hanno diritto di esistere. Si tratta però di capire l’opportunità o meno di una formazione simile oggi in Italia. Potrebbe valere la pena se uno vuole tornare in Egitto entro uno o due anni, ma quanti pensano realmente di tornare a vivere nel nostro Paese?».Se l’obiettivo è invece rimanere in Italia «si rischia solo di provocare un gap formativo incolmabile e in definitiva di impedire l’integrazione». Anzi, in molti casi secondo lei c’è di più, una specie di voluttà a mantenere la separatezza. Racconta Rassmea: «Le famiglie pensano: tanto qualcuno della comunità le sposerà e faranno le madri e le mogli». Conclusione che arriva dal cuore: «Questo non è giusto».
«Non mandate mia sorella alla scuola araba di Milano»
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credo bene