La preghiera è il giusto farmaco?

Qualche giorno fa, a Milano, si è svolto un convegno sulla meditazione come medicina per rispondere a domande cruciali come: La fede può favorire la guarigione? Di fronte al dolore, all’impotenza del limite, la preghiera può rappresentare il giusto farmaco? (La preghiera, un farmaco, Avvenire, 17 novembre 2006). Fin qui la reazione è un sorriso bonario (mica si può sempre stare a criticare, no? che facessero i convegni sulle questioni più assurde). Però il sorriso (bonario e forzato) muta in disappunto e in desolazione leggendo le dichiarazioni di Massimo Cacciari.

Secondo Massimo Cacciari, «se il pensiero rende migliore l’uomo e in fondo lo guarisce, la preghiera non può essere vista in contrapposizione astratta al pensare: infatti, per molti filosofi pensiero e preghiera coincidono. Così è per Filone, per Plotino, per la patristica, la scolastica, per i mistici. Anche dal punto di vista formale non è possibile introdurre una separazione tra pensiero e preghiera, se non nel nesso teoretico». Prosegue Cacciari: «Quando Kant parlava di “abisso della ragione”, denunciava il limite entro il quale la filosofia non ha più risposte. Questo limite è la scoperta che la percezione dell’esistenza delle cose è essa stessa un limite alla conoscenza. È di fronte a questo “bonum” che l’analisi e la dialettica cedono ed emerge qualcos’“altro”. Questo “altro” ha la forza della preghiera o almeno è quello che comunemente chiamiamo “preghiera”».

[…] Tutti i filosofi citati da Cacciari a dimostrazione dell’idillio tra pensiero e preghiera sono, come dire, vecchiotti. Non solo nati vissuti e morti prima di Darwin, ma anche prima di Copernico. Filosofi dell’era glaciale, insomma. Gente che non si è sporcata le mani con la scienza, per carità (ecco, anche io ho quasi pregato). Quanto alla impossibilità di distinguere tra pensiero e preghiera, se non nel nesso teoretico (ma che sarà, poi, ’sto nesso teoretico?), l’affermazione è o inutile o assurda. Inutile se significa che pensiamo e preghiamo con lo stesso strumento e la distinzione è nell’oggetto. Assurda se l’identità formale strizza l’occhio ad altro (non si può non avere la tentazione di aggiungere alla lista le allucinazioni, i sogni, le visioni). […]
PS
Se vi viene mal di testa, 4 avemaria dovrebbero fare al caso vostro.
Mal di pancia: 3 padrenostro e una preghierina a un morto di famiglia.
Non esitate a scriverci per avere risposte caso per caso. PrayerDrug® risponderà.

Il testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica

6 commenti

RazionalMENTE.net

Bah, sostanzialmente sono d’accordo con Cacciari. Quando uno non sa più che pesci pigliare mettersi a recitare il Rosario è meglio che andare in paranoia. In fondo il valore autentico della preghiera non è questo? Se Dio è un padre infinitamente buono, i fedeli suoi figli non hanno alcun bisogno di pregarlo. E’ Gesù stesso a dirlo. Pregare quindi è solo un mantra che ci impedisce di impazzire di fronte a problemi irrisolvibili. Per i buddisti pregare è meditare, nel senso di fare il vuoto mentale, liberare la mente da ogni pensiero ansiogeno ripetendo un certo mantra. Alcuni ascoltano musica Reiki che non è male (artisticamente fa schifo). Io suggerirei di ascoltare della musica soft, fughe di Bach, smooth jazz, Mozart… e mi fermo qui altrimenti potrei farvi un elenco lunghissimo.

Indubbiamente per star bene in salute occorre ridurre gli input e quindi lo stress.

Umberto

Io invece sono normalmente sereno anche se non prego, anzi ogni tanto per rasserenarmi ancora di più mollo qualche moccolo, ma senza cattiveria, così per scaricarmi.

Paul

Io non sono mai stato completamente o particolarmente sereno, ma da quando ho smesso di pregare ed ho iniziato ad agire lo sono molto di più, un problema che si risolve con una preghiera è un problema che non esiste…

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