Cat Stevens, 30 anni per imparare a conciliare la musica e l’Islam

Le acque del Pacifico sono fredde anche d’estate. A Malibu, nelle spiagge private dei miliardari, non ci sono bagnini di guardia. Il cantautore nuota agile verso il largo, si allontana pericolosamente dalla riva. Cerca di tornare indietro, ma la corrente è troppo forte. Sta per soccombere, è nel panico, grida: “Dio, se mi salvi lavorerò per te”. In quell’istante un’onda potente lo solleva e lo scaraventa verso la riva. “Era tutta l’energia di cui avevo bisogno, in poche bracciate raggiunsi la spiaggia, sano e salvo. Fu un momento grandioso, sapevo che Dio esisteva, e che avevo rinnovato un contratto con lui”, mormora, con la voce melodiosa di chi è avvezzo a salmodiare, Yusuf Islam, il cantautore che prima della conversione si chiamava Cat Stevens. Era il 1975, il successo non gli dava tregua. “Mi sentivo vuoto, insoddisfatto, già da anni vivevo in Brasile, lontano dalle pressioni dello show business. Dopo l’episodio di Malibu, cominciai freneticamente a indagare tra le religioni per mantenere la mia promessa: nozioni di buddismo, induismo, numerologia, astrologia, fino a quando David, mio fratello maggiore, mi portò da Gerusalemme una copia del Corano”.In quel momento iniziò il percorso verso la nuova fede, che culminò nel 1977 con la conversione all’Islam. Due anni dopo, alla fine dell’ultimo concerto alla Wembley Arena, salutò per sempre i fan: “Ognuno deve trovare la propria strada, spero che anche voi troviate la vostra”. Così Steven Demetre Georgiou, in arte Cat Stevens, assunse legalmente il nome di Yusuf Islam, sposò nella moschea di Kensington Fouzia Ali, che gli ha dato cinque figli, e cancellò il suo nome dall’albo d’oro del pop.
Ci ha messo ventotto anni per incidere un nuovo album di canzoni, Another cup, che è appena uscito; più di un quarto di secolo per ridefinire il suo ruolo nel mondo dello spettacolo; cinque anni, dopo l’11 settembre, per liberarsi dal fondamentalismo che lo imprigionava e scoprire che la musica è frutto di una purezza creativa che non può dispiacere a Dio (nel 1996 Yusuf Islam scrisse un lungo articolo per Musica di Repubblica in cui spiegava perché, secondo la legge islamica, gli era proibito continuare il mestiere di cantautore). “Fare un altro disco non è stata una decisione premeditata ma presa col cuore, d’istinto, come molte delle cose che faccio”, spiega Yusuf, 58 anni, che ora vive con la famiglia tra Londra e Dubai, negli Emirati Arabi. […]

L’articolo completo è raggiungibile sul sito di Repubblica

5 commenti

Giuseppe Recanati

Chissà quanti annegati non hanno avuto modo di convertirsi ad alcunché !

ALESSIO DI MICHELE

Non era per caso Leonard Cohen (toh, un cognome ebraico!) che cantava “… and when he knew for certain/only drownings could see him (Jesus) ?

Umberto

Ma non faceva meglio a diventare ateo, così poteva fare il musicista come gli pareva e piaceva enza sensi di colpa?

RazionalMENTE.net

Meglio Carlos Santana che nei suoi concerti ha sempre il volto della Sindone su una cassa acustica. Ma dimmi te se un così bravo musicista si deve rovinare il cervello co’ ‘ste scemenze.

giulio luppi

L’unico commento che si può mandare è di segno positivo. CatStevens è una persona genuina, che ha alsciato tutti quasi trent’anni fa e si è impegnato -oltre che religiosamente- a livello umanitario, mettendoci la propria faccia e le proprie convinzioni più forti.
Io provo grande ammirazione (anche se in passatopuò avere ecceduto in qualche atteggiamento, ma se eccede anche il papa glielo si può perdonare, no?) per quest’uomo e credo sia stato un ottimo musicista. Non ho ancora acquistato il suo cd An Other cup solo perchè me lo regaleranno a Natale.

Commenti chiusi.