L’eutanasia è “un atto lesivo non solo della dignità della persona che muore, ma anche contrario all’etica professionale del medico”. Lo ha detto il genetista Bruno Dallapiccola, presidente dell’Associazione “Scienza e vita”.
Sulla necessità di un’informazione “accessibile a tutti, scientificamente fondata e veritiera” si è soffermata l’altra presidente di “Scienza & Vita”, Maria Luisa Di Pietro, rilevando che spesso il dibattito sull’eutanasia viene “forzato e manipolato”, in un clima culturale “troppo incline a rimuovere la sofferenza e la morte, dimenticando che queste esperienze sono parte integrante della vita di ciascuno”.
“Sostenere che il testamento biologico sia uno strumento finalizzato a evitare l’accanimento terapeutico distoglie l’attenzione dal vero obiettivo, che è quello di estendere la possibilità del dissenso anche verso terapie efficaci e proporzionate”. Lo ha detto Rodolfo Proietti, direttore del Dipartimento emergenza e accettazione del Policlinico Gemelli. […] “I medici non hanno bisogno di leggi, devono semplicemente rispettare le indicazioni poste dalla medicina basata su prove di evidenza e rispettare i percorsi assistenziali suggeriti dalle società scientifiche”.
“Saper trovare la cosa giusta da fare nelle diverse situazioni, senza cadere nell’abbandono o nell’accanimento terapeutico”. Consiste in questo, ha spiegato Giovanni Battista Guizzetti, responsabile delle unità operative per stati vegetativi del Centro don Orione di Bergamo, secondo il quale “è davvero sorprendente il tentativo in atto per convincerci che ciò che più temono i malati gravi e i disabili sia l’accanimento terapeutico. Essi invece temono l’abbandono”.
Cosa giustifica questo accanimento? Che è una specie di accanimento opposto a quello terapeutico, e però ugualmente ingiusto e disumano. Un accanimento fatto di sbattere in prima pagina. Di lanciare proclami. È tutto un assieparsi di gente interessata alla morte più che alla vita. Che la morte la invoca. Di fronte a un uomo che, disperato, non trova più motivi per vivere, si accaniscono, inventano manifestazioni clamorose, convocano commissioni di saggi per dire: muoia. Che strano accanimento, che circo nero. Che in nome della pietà invoca la morte. Invece che i motivi per la vita. C’è qualcosa di strumentale. E di disgustoso. Sarebbe quasi più comprensibile l’atto estremo. Vien da dire che se uno di questi manifestanti avesse a cuore veramente la fine delle sofferenze di quell’uomo che hanno reso bandiera, se avesse a cuore la sua propria, e personale sofferenza, andrebbe lì, staccherebbe la spina. Invece di sbandierarlo come un pupazzo. […] rispondete, dunque, circensi della morte: se cessiamo di considerare “illegale” l’autogestione dei limiti della propria vita, in base a quale principio domani multerete un ragazzino che, essendosi assicurato di non far danno a nessuno, passerà con il semaforo rosso? O chi ha il diritto di decidere quale è la soglia di sopportabilità della vita? I nostri figli riceveranno il messaggio che se si sente non più sopportabile la vita per un qualche soggettivo motivo e ce la si toglie non si fa niente di male? È autodeterminazione, è soggettivismo, no? Pensateci, prima di sorridere. E se non sulla base di un rispetto della vita, anche quando è duramente alla prova, su cosa fonderete le vostre leggi, sulla convenienza del più potente di turno? Avete scelto di combattere intorno al corpo sofferente di un uomo una battaglia contro, invece che per la vita. Non vi interessa del destino singolo. Ne avreste più rispetto. Vi interessa una battaglia filosofica, di principio. Sostituire alla vita lo Stato. Come se l’uomo dovesse rispondere solo a se stesso e alla Legge, e a nient’altro. Volete far credere che il dibattito sia tra chi ha pietà e chi non ne ha. Invece è tra coloro che come voi lasciano solo l’individuo davanti allo Stato, e chi sa che per vivere occorre speranza, specie nelle prove. E questa non la possono dare né lo Stato, né la legge. Ma di questo, di speranza, non volete parlare.
Il testo integrale dell’articolo (?) di Davide Rondoni è stato pubblicato sul sito di Avvenire
Troppo incline a rimuovere la sofferenza?
Ma se l’Italia è agli ultimi posti nell’uso di oppiacei per i malati terminali!
Qui qualcuno è troppo incline a santificarla la sofferenza…
“informazione … scientificamente fondata”
Continua il tentativo di strumentalizzare la scienza e ricavarne verita’ etiche in linea con quelle del movimento “Scienza e Vita”. Il problema e’ che chi non ha gli strumenti per poter giudicare i dati e’ indifeso di fronte a questa violenza e lavaggio di pensiero.
LEGGO: Vi interessa una battaglia filosofica, di principio. Sostituire alla vita lo Stato. Come se l’uomo dovesse rispondere solo a se stesso e alla Legge, e a nient’altro.
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Ma a chi se non alla legge dovrebbe rispondere l’uomo su questa terra? Forse ai difensori della vita-tortura ad ogni costo? Fino a prova contraria sono i difensori della vita che vogliono sostituire lo stato e la sua volontà al singolo individuo vivente!
Con la santificazione della sofferenza siamo all’annientamento di qualunque logica e dell’essere umano stesso. E il problema é che ci credono davvero a quello che dicono, almeno così pare. Sono mentalmente disturbati.
Lorenzo
In uno stato veramente democratico e liberale ogni persona dovrebbe essere (scusate la tautologia) libera di decidere per se stessa, come vivere e come morire. Ci manca solo che uno debba vivere e/o morire come dicono Ruini e Ratzinger.
Loro decidono cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa sia bene e cosa sia male. Per tutti. Anche se sono fatti di carne e ossa come tutti gli altri e hanno indiscutibilmente lo stesso grado di fallibilità. Che decidano per se stessi. Io voglio decidere per me. E non voglio certo, se dovesse capitare una disgrazia, fare la fine di Welby o di Terry Schiavo. Circondato di sepolcri imbiancati che tirano bombe in mezzo mondo, fautori della pena di morte, che si stracciano le vesti perchè staccano una macchina che tiene in vita un vegetale. Io voglio che non ci siano dubbi, che nessuno possa accusare chichessia di farlo per un interesse diverso dal mio. Voglio un testamento biologico in cui scrivere: “se il mio cervello è morto, sono morto anche io, lasciatemi in pace (e non pregate sulla mia tomba)”.
L’opinionista (?!) di Regredire (pardon… Avvenire) fa finta di cadere in un equivoco: quello della strumentalizzazione del caso Welby in cui si sfrutta il caso del singolo per portare avanti una battaglia ideologica.
Bisogna far chiarezza, è sicuramente ANCHE una battaglia ideologica, contro una cultura del dolore e della sofferenza, contro una concezione confessionale della vita e della morte che deve essere imposta a tutti, ma è uno scontro ideologico che lo stesso Welby ha voluto, imponendo la propria vicenda sulle prime pagine con gli appelli al Presidente della Repubblica, facendosi strumento per smuovere le coscienze.
Welby avrebbe potuto fare come tantissimi altri hanno fatto prima di lui, ricorrendo all’eutanasia per vie traverse e clandestine, senza clamore, nel clima di ipocrisia generale in cui i suicidi assistiti avvengono continuamente, lontano dalle telecamere e dagli editoriali di giornale e dai vacui dibattiti televisivi, senza che si faccia nulla di serio per impedirli, ma senza neppure la volontà di regolamentarli.
Per cui finiamola di accusare una parte di strumentalizzazione con lo scopo di delegittimarla, perché Welby non è un povero cristo scelto a caso, è il presidente dell’Associazione Luca Coscioni, ha scelto lui di reclamare il suo diritto a decidere della SUA vita e a farlo in pubblico.
E allora, se c’è qualcuno che ha il coraggio di farlo, deve rivolgere a lui le accuse di speculazione e strumentalizzazione del dolore, ma deve farlo in maniera diretta, non ipocrita, non trasversale, come quando si dichiara che i malati terminali che vogliono farla finita sono vittime di una “cultura di morte” e di una mancanza di sostegno e di amore da parte di chi si fa in quattro per loro, che altro non è che un velato insulto a parenti, amici, personale medico e paramedico.
“Sostituire alla vita lo Stato. ”
No, idiota! E’ adesso che lo Stato si sostituisce all’individuo, decidendo per lui come e quando deve vivere e morire.
“Come se l’uomo dovesse rispondere solo a se stesso e alla Legge, e a nient’altro.”
A sé stesso, agli altri uomini, alle leggi che essi si danno per una civile convivenza.
E A NIENT’ALTRO.
quando ho sentito dire da un prete che non bisogna rimuovere la sofferenza perchè è una esperienza che ci rafforza l’anima e ci fa capire la sofferenza di Cristo ho capito che il virus della demenza esiste!!!!
Se io soffro molto per una malattia e posso e voglio soffrire meno, ma la cosa mi viene legalmente negata per una legge che segue una certa morale giustificata da una religione per me questo stato non è laico e io sto subendo la privazione del mio diritto di cercare di diminuire una sofferenza inutile.
Delle contro-argomentazioni religiose me ne frego! E guarda caso saltano sempre fuori perchè razionalmente non c’è scusa che tenga.
Giuseppe
ti ringrazio, io davanti a queste affermazioni mi sento agghiacciare e non trovo le parole. La rabbia e l’angoscia mi chiudono la gola.
Se di cultura di morte si parla mi sembra che i veri rappresentanti siano proprio loro.
Bene,
allora se la sofferenza è un’esperienza che ci rafforza l’anima (sempre che esista!) e ci fa capire la sofferenza di Cristo (!), io deduco questo:
– quanto più la sofferenza è grande, tanto più l’anima si rafforza.
– a tutti quelli che la pensano come questo scompensato mentale (sacerdoti e non) proibirei l’accesso a tutte le strutture sanitarie dello Stato, pubbliche e private, per evitare che si curino dei loro mali (mal di denti, di pancia, dell’apparato cardiocircolatorio, tumori) e che usino protesi (dentiere, occhiali, auricolari, e così via).
Che diamine, non vorremo mica privare questi benpensanti concittadini di un corroborante rafforzamento dell’anima!
Adesso ho capito perchè l’inquisizione torturava e bruciava: per rafforzare l’anima e renderci partecipi della sofferenza di Cristo!
E io, sciocco miscredente, ho creduto fino ad oggi che fossero tutti dei pervertiti.
Non si finisce mai di imparare…
Cari Maria Luisa Di Pietro, Giovanni Battista Guizzetti, Bruno Dallapiccola, Rondoni ecc.ecc.
spero che per la salvezza della vostra anima la sofferenza diventi parte integrante della vostra vita…
e che cazzo!!!
“un atto lesivo non solo della dignità della persona che muore, ma anche contrario all’etica professionale del medico”
COOOOSAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!????????????????
MA NON VEDONO CHE ORA LA MALATTIA HA RIDOTTO WELBY IN UNO STATO CHE ANCHE CHI HA UN CUORE PIù DURO DEL GRANITO SI MUOVE A COMPASSIONE?
Ma sono capaci questi qui che pontificano tanto su come ci si deve amare di provare almeno una piccola parte di sentimento di pietà umana di fronte a un uomo schiavo del suo dolore che però ha il coraggio di ribellarsi alla schiavitù in cui “vive”. Non posso credere che esista sulla faccia della Terra gente così sadica che non sa cosa significhi avere un cuore di carne!!!!!!
E’ vergognoso che l’avvenire si scagli contro Welby con simli sciocchezze, auguro a questi inqualificabili individui di trovarsi nelle stesse condizioni di Welby, onde offrire al loro ipotetici dio la propria sofferenza in olocausto, una lunga dolorosa agonia.
Avvenire, Osservatore Romano, Famiglia Cristiana, CEI, RAI Vaticano… LA PIOVRA: Mafia Cattolica.
LA CHIESA DIFENDE SEMPRE E COMUNQUE LA SACRALITA’ E L’INTANGIBILITA’ DELLA VITA UMANA.
VOI NON FATE ALTRO CHE GRIDARE: “W LA MORTE” (… ABORTO, EUTANASIA, MANIPOLAZIONE GENETICA …).
AVETE PERDUTO IL VERO SENSO DELLA VITA E QUINDI ANCHE IL VERO SENSO DELLA MORTE CHE TENTATE DI ESORCIZZARE TRASFORMANDOLA IN OGGETTO DI “DIRITTO”.
… DELLA SERIE “PIU’ MORTE PER TUTTI”.
Ieri al dentista, dovendo attendere, o sfogliato una delle riviste messe a disposizione per ingannare l’attesa: famiglia cristiana (penso un numero di ottobre).
L’ho presa giusto per rafforzare la mia mancanza di fede: ogni volta che sfoglio le sue pagine sono assalito da una valanga di odio e ottusità.
Infatti lo inzio a sfogliare e già all’editoriale trovo una cosa che mi urta immediatamente. Si parla di eutanasia e c’è la foto di Welby con una didascalia che recita, più o meno: >
Il suo “caso”? Con le virgolette a significare che poi, in realtà, è tutta una montatura?
Certo, ho dedotto, il modo più semplice in assoluto per risolvere i problemi è quello di negare l’esistenza del problema. Il problema NON c’è e non serve una soluzione.
Welby è una montatura ordita dagli infedeli contro la sacralità della vita. Welby è pilotato dalle forze estreme della sinistra illiberale, ma in realtà se la spassa e vive più che bene.
Probabilmente questo qualcuno lo pensa davvero. Poi parlano di carità, misericordia.
Letta la didascalia, senza proseguire nella lettura, ho preso la rivista e l’ho gettata nel bidone della spazzatura. Questo perchè non avevo a disposizione un water: la merda andrebbe gettata lì.
(su questo forum manca un modulo di conversione delle parentesi angolari, forse andrebbero evitati i tag html, preferendo i tag bb o simili)
La frase incriminata riportata su Famiglia Cristiana è la seguente:
Piergiorgio Welby: il suo “caso” ha provocato…
Ma se la sofferenza è un’esperienza che ci rafforza l’anima e ci fa capire la sofferenza di Cristo perchè si va a Lourdes? Non vi è contraddizione?
Ho una proposta: per i cattolici d’ora in avanti si facciano operazioni senza anestesia. Cosi’ potranno offrire la loro sofferenza a dio.
Se non esistessero le religioni, avremmo ugualmente gente che la pensa in un modo o nell’altro, ma almeno la gente baserebbe le proprie idee e convinzioni su fattori un po’ più concreti e tangibili.
Angelo Vescovi ad esempio dice che l’embrione è un essere umano perché nel momento del concepimento c’è un grosso trasferimento d’informazione nel concepito. Teoria debole e certamente influenzata dall’ambiente religioso nel quale viviamo.
“Vien da dire che se uno di questi manifestanti avesse a cuore veramente la fine delle sofferenze di quell’uomo che hanno reso bandiera, se avesse a cuore la sua propria, e personale sofferenza, andrebbe lì, staccherebbe la spina. Invece di sbandierarlo come un pupazzo. ”
E’ incredibile come riescano a stravolgere completamente la realtà.
Qui sta proprio l’eroismo di Welby: la decisione di non ricorrere come moltissimi fanno all’eutanasia “clandestina”, ma di prolungare la propria personale sofferenza per lottare affinché il diritto all’eutanasia venga riconosciuto a tutti i cittadini.
Onore a Welby per essere diventato una bandiera!
Una curiosità: ma allora perchè i cattolici venerano i martiri? Molti di loro hanno volontariamente rinunciato alla propria vita… dove sta la differenza? Forse nel fatto che si sono fatti uccidere in modi estremamente cruenti e dolorosi?
L’offrire la propria sofferenza a Cristo ha senso per il credente certamente è incomprensibile per l’ateo o comunque per il non cristiano. Il punto secondo me è un’ altro: per tutte le loro battaglie i radicali hanno sempre portato come esempio un caso “forte” ( e il caso Welby lo è) attorno al quale far leva su un’opinione pubblica che colpita dal caso si dice “perché no?” il problema è che una volta aperto quello che viene chiamato il cosiddetto “piano inclinato” ci si chiede fino a dove si possa arrivare, facciamo una legge che permetta di staccare la spina per Welby e per tutti gli altri nel suo stato, ad un certo punto ne esce fuori qualcuno ad esempio un depresso che dice “io sono malato e la vita non ha più senso per me perché non ho diritto all’eutanasia?” un minore malato che può dire “sono malato perché non ho diritto come i maggiorenni all’eutanasia?” etc. certamente la legge iniziale porrebbe dei forti limiti, ma sicuramente il numero dei casi permessi andrebbe sempre più ampliandosi nel tempo ho avuto fino a pochi giorni fa una persona anziana in famiglia e negli ultimi tempi avendo dei problemi legati alla demenza senile era diventata bisognosa di numerose cure pur stando abbastanza bene di salute lei ne soffriva molto sentendosi un peso anche se per noi pur molto stanchi, non lo è mai stato, mi chiedo se esistendo una legge sull’eutanasia un anziano in queste condizioni non la possa richiedere magari dicendo che la vita per lui è dolorosa e non ha più senso e che oltretutto è un peso per la famiglia, perché dovrebbe essere negata a lui?
Il problema nasce dal non essere autosufficienti. Quindi secondo me occorre dare a chi non è autosufficiente le stesse possibilità di chi lo è, indipendentemente da giudizi morali.
Certo io non andrei a regalare una pistola ad un depresso, ma io sono un cittadino, non lo Stato.
Lo Stato dovrebbe tutelare l’uguaglianza dei cittadini e dare a tutti gli stessi identici diritti e doveri.
Quindi, anche se ti può sembrare strano, ma lo Stato dovrebbe dare a Welby la possibilità materiale e legale di uccidersi. Poi ovviamente delle associazioni, dei parenti, degli amici, possono attivarsi nel tentativo di dissuaderlo, ma l’ultima decisione spetta a lui e solo a lui.
La morte fa paura a tutti, io non desidero la morte di nessuno, voglio però che la morte sia un diritto uguale per tutti come lo è la vita.
La vita umana dev’essere un diritto dell’individuo, non un dovere.
Welby può parlare grazie ad un computer. Quindi sempre grazie ad un computer potrebbe uccidersi. I medici potrebbero mettergli a disposizione un meccanismo controllato dal suo stesso computer grazie al quale Welby possa di sua iniziativa autosomministrarsi le sostanze chimiche per addormentarsi e per staccare le macchine che lo tengono in vita. Contemporaneamente amici, parenti, associazioni varie, psicologi, ecc. potrebbero attivarsi per dissuaderlo.
Franco Lucentini, noto scrittore della coppia Fruttero e Lucentini, si è suicidato nel 2002 all’età di 82 anni. Ha potuto farlo perché era ancora autosufficiente.
Voi cattolici, negando il diritto alla morte di chi non è autosufficiente, incentivate il suicidio di chi è malato e teme di non poter mettere fine alle proprie sofferenze se un giorno non sarà più autosufficiente.
Sinceramente anche io sono terrorizzato da questo pensiero. Per adesso sono autosufficiente e mi conforta la possibilità che ho di poter decidere autonomamente della mia vita.
Come sempre dietro la vostra apparente bontà d’animo si celano violenza e malvagità.
La vostra è la cultura della sofferenza. Non permettete ai gay di avere una famiglia e torturate chi soffre, anzi, più uno soffre, più lo torturate. Vi impadronite della vita altrui e ci giocate come il gatto fa col topo.
Risponda pure a chi meglio crede, Rondoni: renda conto a Dio, se ritiene di doverlo fare, o “alla vita”, ammesso che “rendere conto alla vita” sia una frase di senso vagamente compiuto; io, da parte mia, prendo ispirazione dalle sua parole e rivendico il diritto di rispondere solo a me stesso e alle leggi del paese in cui vivo: è un diritto del quale, malgrado i loro sforzi, Rondoni e compagni non possono privarmi.
Il fatto che ci si provino, vigliaccamente, con Piero Welby e con migliaia di malati nelle sue stesse condizioni, accusando di strumentalizzazione coloro che si adoperano per difenderne i diritti, è la riprova dell’esattezza di un vecchio adagio nel quale il bue dà del cornuto all’asino.
http://metilparaben.blogspot.com/2006/12/i-buoi-e-gli-asini.html
Veramente a me non interessava parlare di religione, ma di eutanasia e nemmeno di gay visto che non è l’argomento di questo forum quindi quel “voi cattolici” mi sembra un po’ fuori luogo come ho detto prima lasciamo fuori dalla discussione il senso che la sofferenza ha per i cattolici visto che è incomprensibile per un non credente e parliamo di eutanasia. E’ vero, si parla di come darsi la morte non essendo più autosufficiente per farlo, quindi l’ipotetica futura legge potrebbe contemplare i non autosufficienti e basta però come ho detto prima inevitabilmente il “dopo Welby” aprirebbe un’altra miriade di casi e sicuramente un’altra percezione sociale della morte per cui diventerebbe un diritto a prescindere dalle condizioni psicofisiche in cui si trova proprio perché come dici “Lo Stato dovrebbe tutelare l’uguaglianza dei cittadini e dare a tutti gli stessi identici diritti e doveri” per cui se io mi voglio suicidare, ma ho troppa paura per spararmi o gettarmi da un ponte perché, pur essendo autosufficiente, non ho diritto alla “dolce morte”? Sarebbe una discriminazione al contrario quindi sarebbe giusto darla anche agli altri. Se poi una persona non è autosufficiente, ed è un peso sia in termini psicologici che economici per chi gli sta vicino nonché per la società che deve provvedere al suo mantenimento perché non “sollevare” i congiunti da questo peso indipendentemente dalla volontà del soggetto? Sarebbe sacrificare uno per il bene della società. Quindi come dici anche tu “Sinceramente anche io sono terrorizzato da questo pensiero. Per adesso sono autosufficiente e mi conforta la possibilità che ho di poter decidere autonomamente della mia vita”.
Gente, al di là delle pippe mentali contenute nell’articolo di cui si parla, dobbiamo batterci tutti perchè chi, in completa lucidità e autonomia, decida che la sua vita non è più degna di essere vissuta, possa porvi termine, e se non può farlo da sè, la legge non si deve permettere di punire chi, alle chiare volontà del disgraziato, ha deciso di dare esecuzione.
«E’ vero, si parla di come darsi la morte non essendo più autosufficiente per farlo, quindi l’ipotetica futura legge potrebbe contemplare i non autosufficienti e basta però come ho detto prima inevitabilmente il “dopo Welby” aprirebbe un’altra miriade di casi e sicuramente un’altra percezione sociale della morte per cui diventerebbe un diritto a prescindere dalle condizioni psicofisiche in cui si trova»
Non per i non autosufficienti e basta, ma per i non autosufficienti malati terminali per i quali non c’è modo di alleviare il dolore e che naturalmente ne facciano richiesta. Lo stato ha il dovere di tutelare la salute e la vita dei cittadini, non di imporgli un’agonia lenta e insopportabile.
«Se poi una persona non è autosufficiente, ed è un peso sia in termini psicologici che economici per chi gli sta vicino nonché per la società che deve provvedere al suo mantenimento perché non “sollevare” i congiunti da questo peso indipendentemente dalla volontà del soggetto?»
Idem come sopra.
“Come se l’uomo dovesse rispondere solo a se stesso e alla Legge, e a nient’altro.”
Si, proprio, Questa definizione è perfetta.
Ok partiamo da questo punto e facciamo un’ipotesi: per me sano fisicamente, ma deluso dalla vita “non c’è modo di alleviare il dolore” che non è un dolore fisico, ma interiore faccio richiesta allo stato perché questi “ha il dovere di tutelare la salute e la vita dei cittadini, non di impormi un’agonia lenta e insopportabile” che lo sarebbe (per me) se continuassi a vivere. Lo stato mi propone delle cure, ma io rifiuto voglio l’eutanasia perché non voglio più vivere e non ho il coraggio di spararmi, perchè lo stato mi deve discriminare se non sono un malato terminale non autosufficiente? Non sono tutti i cittadini uguali davanti allo stato? Perché il mio dolore dev’essere minore di quello del malato terminale perché non ho gli stessi diritti? La risposta l’ha data sopra Francesco: “dobbiamo batterci tutti perchè chi, in completa lucidità e autonomia, decida che la sua vita non è più degna di essere vissuta, possa porvi termine, e se non può farlo da sè, la legge non si deve permettere di punire chi, alle chiare volontà del disgraziato, ha deciso di dare esecuzione”.Ed ecco che dal malato terminale non autosufficiente si arriva al sano di corpo e di mente che magari sta attraversando un periodo nero e non vuole più vivere.Questa è solo una delle mille ipotesi che si possono fare.Il cuore è importante in queste questioni, ma non dobbiamo permettere che prenda il sopravvento sulla ragione.
«Lo stato mi propone delle cure, ma io rifiuto voglio l’eutanasia perché non voglio più vivere e non ho il coraggio di spararmi, perché lo stato mi deve discriminare se non sono un malato terminale non autosufficiente? Non sono tutti i cittadini uguali davanti allo stato? Perché il mio dolore dev’essere minore di quello del malato terminale perché non ho gli stessi diritti?»
Perché il suicidio assistito è cosa diversa dalla sospensione dei trattamenti medici a un moribondo.
Perché io non sto sostenendo il diritto dell’individuo a suicidarsi con l’assistenza pubblica, ma quello del malato non autosufficiente e non indipendente a rifiutare delle cure mediche che non desidera.
Se vogliamo estremizzare il discorso delle “discriminazioni” potrei chiederti: perché io devo essere discriminato rispetto, che ne so, ai portatori di handicap o agli invalidi che percepiscono una pensione d’invalidità? Perché devo lavorare, perché non ho gli stessi diritti?
Febo, stai facendo gran confusione. Col termine autosufficiente si intende una persona che fisicamente non ha bisogno di aiuto per le proprie azioni. Una persona che vorrebbe suicidarsi ma non ha il coraggio di farlo non deve essere aiutato proprio da nessuno. Se tu sei sano fisicamente, ma infelice e vuoi suicidarti, non hai bisogno di leggi apposite, vai al primo ponte e ti butti di sotto.
Lo sto ripetendo da dieci giorni, ma ancora qui c’è gente che fa confusione e ipotizza situazioni surreali.
Allora lo ripeto ancora una volta: IL PROBLEMA C’E’ SOLO PER CHI FISICAMENTE NON E’ IN GRADO DI SUICIDARSI.
Tu parli di eutanasia per una persona fisicamente sana ma delusa dalla vita. Ma sai almeno di cosa stai parlando o parli proprio a vanvera? Se non hai il coraggio di spararti, meglio così. Evidentemente non sei realmente determinato a farlo.
Tu stai cercando di gettare fumo negli occhi con argomentazioni surreali e prive di senso.
Non mi sembra di gettare fumo negli occhi, ma di porre problemi concreti, I portatori di handicap e gli invalidi percepiscono una pensione perché non potendo lavorare non possono procurarsi da soli il proprio sostentamento e quindi deve provvedere lo stato in modo che (almeno sulla carta) siano equiparati a tutti gli altri per lo stesso motivo non potendo togliersi la vita lo stato lo dovrebbe “assistere” i non autosufficienti che lo desiderano a farla finita, con lo scopo di non farli più soffrire. Tuttavia se io soffro, ma non rientro in quei parametri stabiliti dalla legge non ho diritto a togliermi la vita assistito dallo stato posso solo suicidarmi “privatamente”, questa però è un’ingiustizia perché (magari pagando) lo stato mi deve consentire LO STESSO TRATTAMENTO che consente agli altri, se quindi ho paura a gettarmi da un ponte, ma non temo l’iniezione letale lo stato deve agevolarmi in questo, ovvero non sono in grado di farla finita da solo, ma desidero farla finita. Dov’è la differenza?
Ho ben chiaro quello che state dicendo: aiutare chi vorrebbe ma non può farlo a suicidarsi, forse non avete ben chiaro quello che sto dicendo io: oggi parliamo di una legge che regolarizzi il caso Welby e gli altri casi simili, domani, parleremo di un caso simile a quello che ho descritto perché dal momento che viene legalizzata la possibilità di uccidersi in modo legale (ED E’ QUESTO IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE) la casistica non farà che aumentare, non si tratta di aprire questa porta solo un po’ perché una volta aperta leggermente sarà destinata a spalancarsi è per questo motivo che la risposta più coerente è quella di Francesco M.Calmieri: “dobbiamo batterci tutti perchè chi, in completa lucidità e autonomia, decida che la sua vita non è più degna di essere vissuta, possa porvi termine, e se (E QUINDI NON “SOLO NEL CASO IN CUI”)non può farlo da sè, la legge non si deve permettere di punire chi, alle chiare volontà del disgraziato, ha deciso di dare esecuzione”.
se sei sano e hai paura a buttarti da un ponte ma NON hai paura di un’iniezione letale…
rubi del potassio in una farmacia e te lo inietti.
capito febo?
se ti vuoi suicidare e hai le braccia e le gambe che funzionano per farlo… puoi farlo tranquillamente in almeno 10 modi diversi che se vuoi ti elenco.
se puoi muovere solo gli occhi mi spieghi come fai a suicidarti? a meno che qualcuno non predisponga un meccanismo per il tuo suicidio azionabile da un tuo battito di ciglia, credo sia difficile… e in questo caso chi ha predisposto il meccanismo finirebbe nei cazzi comunque.
pensiamo all’oggi, non alle cazzate del domani che vengono usate dai cattolici come spauracchio (tipo non so, l’eutanasia a tutti quelli con più di 50 anni o idiozie simili).
@febo
«Tuttavia se io soffro, ma non rientro in quei parametri stabiliti dalla legge non ho diritto a togliermi la vita assistito dallo stato posso solo suicidarmi “privatamente”, questa però è un’ingiustizia perché (magari pagando) lo stato mi deve consentire LO STESSO TRATTAMENTO che consente agli altri, se quindi ho paura a gettarmi da un ponte, ma non temo l’iniezione letale lo stato deve agevolarmi in questo, ovvero non sono in grado di farla finita da solo, ma desidero farla finita. Dov’è la differenza?»
La differenza sta nel fatto che il malato terminale non autosufficiente vive solo grazie alle macchine che ne assicurano le funzioni vitali e grazie alle continue assistenze di medici e infermieri che gli sono intorno. Inoltre si trova in una situazione in cui non c’è ragionevole speranza di miglioramento delle sue condizioni (ce n’è sempre una irragionevole, ma non tutti sperano nei miracoli): le cure a cui è sottoposto hanno il solo effetto di allungargli l’agonia verso la morte sicura.
A questo punto, ribadendo la mia idea che lo Stato debba preoccuparsi della salute dei cittadini e non di assistere il loro suicidio, è evidente che qui si tratta di lasciar morire un moribondo senza farlo soffrire, e non di garantire a un non-moribondo autosufficiente l’assistenza morale e materiale per suicidarsi.
La differenza è lampante.
«oggi parliamo di una legge che regolarizzi il caso Welby e gli altri casi simili, domani, parleremo di un caso simile a quello che ho descritto perché dal momento che viene legalizzata la possibilità di uccidersi in modo legale (ED E’ QUESTO IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE) la casistica non farà che aumentare, non si tratta di aprire questa porta solo un po’ perché una volta aperta leggermente sarà destinata a spalancarsi»
Oggi parliamo di questo. L’idea di regolamentare quella che tu chiami “possibilità di uccidersi in modo legale” (che è poi una possibilità già attuale: non è illegale uccidersi e nemmeno tentare di uccidersi) non prevede la casistica di assistenza statale al suicida.
Un domani si vedrà, se diverrà di attualità (e non un’ipotesi terroristica) la questione di garantire o meno il suicidio assistito, che rimane comunque cosa diversa dalla sospensione del trattamento medico ai malati terminali, se ne discuterà con calma e ragionevolezza.
Del resto, come dici tu: “Il cuore è importante in queste questioni, ma non dobbiamo permettere che prenda il sopravvento sulla ragione.”