«Le condizioni di salute del signor Welby sono peggiorate rispetto all’ultimo controllo. Il paziente in questo momento ha problemi a riposare durante la notte per lo sfiato emesso dal passaggio dell’aria attraverso la stomia». È quanto si legge sul certificato di uno dei medici di Welby che è stato presentato agli atti dell’udienza martedì pomeriggio.
Il giudice del tribunale civile di Roma, Angela Salvio, si è riservata di decidere sul ricorso con il quale Welby chiede che sia interrotta la terapia medica alla quale è sottoposto e che sia ordinato ai medici di non ripristinare il trattamento sanitario. I tempi per la decisione sono orientativamente di una settimana.
Da Roma arriva però una novità, e non va nella direzione auspicata da Welby. Uno dei due medici che lo segue si è opposto al ricorso presentato dal suo stesso paziente chiedendone il rigetto. In sostanza il medico si è costituito come «resistente», ossia come parte che sollecita il rigetto del ricorso. Nell’udienza il legale del sanitario, secondo quanto si è appreso, pur dichiarandosi d’accordo sul principio che l’intervento medico è legittimato dal consenso del paziente, ha sostenuto che, nell’eventualità di una situazione di affanno dovuta al distacco del ventilatore polmonare, si troverebbe nella situazione di dover ripristinare la terapia e, conseguentemente, di non poter dar seguito al desiderio del paziente. […]
Intanto, dopo il parere positivo della procura di Roma, che ha mostrato un’apertura alla richiesta di Welby, arriva la lettera aperta di un medico: «Mi offro di darle quella assistenza che lei con tenacia chiede, in grado di interrompere la sua sofferenza». E’ questo uno dei passaggi di quanto ha scritto il medico chirurgo Roberto Santi a Welby, attraverso l’associazione Luca Coscioni. «Allargare il suo problema all’eutanasia – prosegue il medico – significa disperdere il suo personale bisogno ed il rispetto di un suo sacrosanto diritto in un oceano di disquisizioni etiche rese praticamente inaffrontabile dalla forte presenza ed influenza delle gerarchie ecclesiastiche nel nostro Paese e sulle forze politiche. Il suo caso è un altro. Si tratta semplicemente di interrompere un atto terapeutico che era già accanimento nel momento stesso in cui fu deciso».
Concludendo la lettera Santi, che è membro dello staff della direzione sanitaria della Asl4 chiavarese, ma che spiega di agire a titolo privato, scrive di offrirsi per interrompere la sofferenza di Welby, anche perché: «È una cosa che noi medici abbiamo fatto e facciamo ogni giorno nel chiuso delle camere di ospedale e nelle case private dei nostri pazienti e nel chiuso del silenzio e del tormento dei nostri pensieri e di quelli dei parenti. Volontariamente e scientemente. Secondo scienza e coscienza. A volte lo facciamo per errore. Nel tempo che sto dedicando a questa lettera è successo 3 o 4 volte, secondo le statistiche».