Reazioni alla sentenza di Welby

[…] a chi, come il ministro della Famiglia Rosy Bindi ricorda che in Italia l’eutanasia non c’è, e non ci potrà essere, Cappato risponde: “Qui non si tratta di ‘staccare la spina’ o di fare qualsiasi altro atto truce. Il nostro impegno è quello di aiutare Welby a realizzare il suo diritto a interrompere il trattamento medico. Un diritto per cui esistono già leggi in grado di riconoscerlo”.
L’attesa decisione del tribunale non ha dato una parola decisiva sulla vicenda Welby, come del resto prevedeva Franco Cuccurullo, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, l’organismo che mercoledì 20 dovrà dare un parere al ministro della Salute Livia Turco, che da parte sua ha invitato la politica a “fare la sua parte” con urgenza. Comunque, ha aggiunto Cuccurullo, “una volta formalizzato il nostro parere, qualunque esso sia, le decisioni a valle non potranno non tener conto del pronunciamento del tribunale”.
Sentenza che ha anche rilevato come il divieto di accanimento terapeutico è un principio “solidamente basato su principi costituzionali di tutela della dignità della persona” ma che non è regolato dal diritto. E l’interruzione della respirazione assistita è appannaggio della sensibilità del medico. Altra “lacuna” dell’ordinamento giuridico è la mancanza di definizione della futilità del trattamento.
Mentre il mondo politico si è spaccato sull’opportunità della “richiesta” di intervento legislativo fatta dal giudice Salvio (con la Cdl che parla di sentenza giusta e Fassino che ha invitato a “non piantare bandiere ideologiche”), la famiglia di Welby non ha voluto commentare la sentenza, di cui Piergiorgio è stato prontamente informato: “Ora sono soltanto dedita ad aiutare mio marito – ha detto la moglie Mina che si trova accanto al marito nell’abitazione romana – e in questo momento mio marito sta male”. “Mina – ha detto il cugino Francesco Lioce – 24 ore su 24 è accanto a lui, è più di un ombra per Piergiorgio, e continua a sostenerlo. Mi piacerebbe che si parlasse di Piergiorgio anche in altri termini, fare uscire l’uomo, far conoscere la sua cultura”.

Welby ha ora la possibilità di continuare la sua battaglia in quanto la decisione del magistrato può essere impugnata. Ma sulla possibilità di un ricorso il legale di famiglia, Vittorio Angiolini, non si è pronunciato: “Vedremo, devo parlare con la famiglia, deciderà lui”. Per l’avvocato, comunque, la sentenza “è condivisibile sulla disamina del consenso informato, ma è inaccettabile quando si parla di incoercibilità del medico ad interrompere il trattamento sanitario”.

Chi non ha dubbi ad andare avanti è l’Associazione Luca Coscioni che denuncia l’esistenza di tanti altri “casi Welby”: “La sentenza aumenta la nostra determinazione ad andare avanti per aiutare Piergiorgio a sottrarsi alla tortura a cui è sottoposto”. […]

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