L’eredità di Piergiorgio

La scomparsa di Piergiorgio Welby ha commosso e addolorato un paese intero. Per più ragioni. Perché è venuto meno un uomo che aveva risposto con forza, coraggio e intelligenza alla sfida dolorosa della malattia. Perché le sue sofferenze indicibili ci riducevano a spettatori impotenti. E, ancora, perché non abbiamo saputo rispondere alla sua richiesta di aiuto. Quando, negli ultimi mesi, il male era divenuto insostenibile, Welby ci ha chiesto di lottare al suo fianco per vedere riconosciuto il suo diritto a rinunciare a cure che per lui non erano altro che accanimento e prosecuzione di un calvario disumano. Ci ha coinvolto in una battaglia civile cui ha prestato con dignità il suo dolore e il suo corpo straziato. Conforta sapere che aveva consapevolmente accettato la fine della propria vita e desiderava una morte naturale come liberazione dalla sua incurabile malattia. Piergiorgio era destinato a un’ulteriore e più grave evoluzione del male. Fra poco tempo non sarebbe più stato in grado di alimentarsi da solo e avrebbe potuto rimanere in vita solo nutrito e idratato attraverso un tubo inserito chirurgicamente nel suo stomaco. Avendolo conosciuto, sono convinto che avrebbe rifiutato questo trattamento. Un no che gli sarebbe costato una lunga e penosa agonia.
Ma la sua morte è anche causa di grande frustrazione per non essere stati in grado di rispondere alle sue richieste. Piergiorgio ci chiedeva di poter rinunciare a quello che lui riteneva un accanimento e di staccare l’apparecchio che lo manteneva in vita nonostante fosse preparato ad accettare l’esito naturale della malattia. Ha chiesto aiuto alle istituzioni, ma non siamo stati in grado di offrirglielo.
La lucida e inflessibile determinazione che Welby ha dimostrato, fino all’ultimo, ci ha posto di fronte a interrogativi ancora senza risposta, evidenziando l’esistenza di un vuoto legislativo. Una lacuna che lascia disatteso il diritto fondamentale dell’uomo di poter decidere in autonomia quali cure ritiene accettabili per sé.
A Piergiorgio avevo chiesto, nel corso del nostro incontro, se era veramente intenzionato a morire. Gli avevo chiesto di riflettere ancora, per permetterci di combattere con lui la sua battaglia. Ora, la sua decisione drammatica ed estrema ci impone un’assunzione di responsabilità. Dobbiamo fare in modo che ognuno si veda riconosciuto il diritto di scegliere le terapie che ritiene accettabili, di accettare o rifiutare la tecnologia che la scienza mette a disposizione, di dire basta a un accanimento che ritiene intollerabile. Scelte di questo tipo dovrebbero potersi compiere come naturale accettazione del decorso di una malattia terminale.
Si tratta del resto di un diritto affermato chiaramente dalla nostra Costituzione, dove si dice che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento se non per legge» e che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona».
Lo stesso principio è riconosciuto anche dalla Chiesa, se nel Compendio del Catechismo si legge che «l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». Non si potrebbe spiegare meglio di quanto viene fatto in quel testo, la differenza sostanziale tra la rinuncia all’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Perché una cosa è sospendere terapie fuori dall’ordinario e altra cosa è porre fine volontariamente a una vita con la somministrazione di un farmaco letale.
Ora che Piergiorgio non c’è più, mi auguro che il Parlamento sappia assumersi la responsabilità di una scelta normativa che riconosca quel diritto. E’ più che mai necessario dare seguito alla sua testimonianza approvando una legge sul testamento biologico e contro l’accanimento terapeutico che consenta a ognuno di indicare le cure e i trattamenti che ritiene accettabili e sopportabili per sé.
Voglio credere che le forze politiche sapranno proseguire in modo sereno ed equilibrato il dibattito. Anche ora che non abbiamo più di fronte gli occhi sofferenti di Piergiorgio Welby.

L’articolo di Ignazio Marino è stato pubblicato sul sito del Manifesto 

5 commenti

davide

Nel vostro morire deve ardere il vostro spirito e la vostra virtù, come un vespero sulla terra: altrimenti il morire vi è riuscito male.
è strano di come welby sia stato un oltre uomo fino al suo ultimo respiro, pur nella sua apparente debolezza

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